C’è un appetito che non dipende dallo stomaco vuoto ma da emozioni represse che spingono a stramangiare: la soluzione non è la dieta e nemmeno i farmaci ma…
Ci scrive Donatella:
“Ho 29 anni ed è da tanto tempo, troppo tempo, che soffro di fame nervosa. Sono triste? Mi abbuffo. Sono arrabbiata? Mi abbuffo. Qualche giorno fa ho saputo che presto dovrò cambiare ufficio perché l’azienda ha deciso di chiudere la sede dove attualmente lavoro. Non le dico! È da quando ho ricevuto la notizia che non faccio altro che mangiare. Ho provato in mille modi ma non riesco a smettere. Come fare per riuscire a non mangiare in questo modo? A volte mi sento posseduta!”.
“Fame nervosa”: è così che chiamiamo comunemente quell’impulso che porta a consumare cibo in modo automatico e compulsivo. Si tratta di una fame non fisiologica ma dovuta a meccanismi “nervosi” ossia psichici. In particolare per Donatella si tratta di stati emotivi: tristezza, rabbia, disagio per le difficoltà lavorative. Il nervosismo si manifesta con una sorta di voracità, di esagerazione nella quantità e qualità dei cibi ingeriti: quando questo tipo di fame arriva, non si tende semplicemente a “mangiare”, ma ci si “abbuffa”, come scrive Donatella. Ma è davvero impossibile liberarsene? No, a patto di seguire tre semplici regole.
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Chi soffre di fame nervosa “le prova tutte per smettere”, inizia cioè una ricerca disperata di strategie esterne per cacciarla via: diete, farmaci, tecniche e terapie varie. C’è chi arriva addirittura ad assumere cocktail di psicofarmaci come antidepressivi e amfetamine. Questo approccio è sbagliato, perché se la radice è “nervosa”, ossia psichica, la soluzione è psichica e interna, non esterna (cibo, farmaci, tecniche eccetera). Va cercata nella psiche, ma questo richiede innanzitutto una mentalità disponibile, aperta, non combattiva. Non bisogna provare in mille modi a smettere: questo atteggiamento allontana dalla soluzione!
Donatella si è accorta di due elementi molto importanti dei suoi attacchi di fame: primo, che l’abbuffata arriva quando si è in un certo stato emotivo (tristezza, rabbia, noia, ansia ecc.); secondo che la fame nervosa è come una forza che “la possiede”. L’attacco arriva dunque per placare quegli stati d’animo, perché la coscienza li avverte come tanto intollerabili da doverli in qualche modo cancellare o sedare. Ma in questo modo la coscienza è “posseduta”: per cambiar rotta occorre imparare a stare proprio in quegli stati emotivi che sono alla radice dell’abbuffata, a non usare il cibo per scappare via. Quando senti arrivare l’attacco di fame fai un passo indietro e chiediti: che emozione sto provando? Puoi farti aiutare da carta e penna e scrivere come ti senti. Non per cercarne le cause - non serve a niente – ma per fargli spazio dentro di te.
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Sostare negli stati d’animo significa imparare a sostenerli, ossia a “starci dentro”, lasciarsi attraversare, osservando e attendendo. Lo stesso vale per l’attacco di fame nervosa: se arriva, ma io sono capace di “stare lì con lui”, posso scoprire, per esempio, che in realtà non mi vuole portare verso il cibo, ma è semplicemente uno stato di desiderio indifferenziato che, se lo lascio “maturare”, si può trasformare in desiderio di qualcosa di preciso che non sia il cibo. Per fare un esempio, può favorire il sorgere di un’intuizione, di una nuova idea, può farmi venir voglia di fare una passeggiata, di telefonare a un amico, di vedere un film o leggere un romanzo… In altre parole può far nascere una nuova mentalità, una nuova consapevolezza. Insomma una “nuova psiche”. Ed è proprio questa nuova psiche l’unica che può vincere la fretta di spegnere l’emozione col cibo!