La persona orgogliosa si barrica nelle proprie idee chiudendosi al mondo e alle novità: un’affermazione di sé del tutto controproducente, ma dalla quale ti puoi difendere, così
Nell’antica Grecia veniva chiamata “ubris”: l’atteggiamento, considerato superbo, con cui l’uomo cercava di liberarsi dalle dure leggi a cui gli dei lo sottoponevano. Lo stesso accadeva nel Medioevo cristiano, quando chi, volendo affermare le proprie intuizioni, andava al di là del principio di autorità ecclesiastica e delle conoscenze imposte dalla fede di quel tempo e veniva accusato di orgoglio intellettuale se non addirittura mandato al rogo. Per fortuna questo “istinto della ragione” vinse i pregiudizi e le resistenze e cambiò il mondo. Oggi, forse perché ormai le strade della conoscenza sono aperte, di questa “libido intellettuale” sembra rimasto solo il concetto di orgoglio. Una volontà puntigliosa, intransigente, permalosa, di imporre il proprio pensiero, a prescindere dall’avere ragione oppure no. Si tratta appunto del “voler avere sempre l’ultima parola”. Un atteggiamento di cui molti vanno persino fieri, come se fosse una dimostrazione di valore e di forza mentale, ma che produce molti danni. Non ha più niente a che fare con il conoscere e il raggiungere un punto di vista obiettivo, anzi, è diventato proprio quell’elemento regressivo contro il quale il sano istinto di libertà combatte da sempre.
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L’orgoglio intellettuale è caratteristico di chi in una discussione è più preoccupato di far valere la sua idea piuttosto che di dialogare con gli altri, di chi, pur rendendosi conto che l’altro ha ragione, continua a difendere assurdamente la propria posizione. Non si tratta di semplice testardaggine: è esercizio di stile, petulanza verbale, aggressività mascherata. Qualcosa che, in fondo, impedisce di essere in vero e proficuo scambio con la realtà esterna: si considerano solo le proprie idee, se stessi. E, quando l’orgoglioso non ha idee, aspetta che gli altri dicano le loro, per poi affermare qualcosa di diverso o di opposto, così da far vedere che è la sua l’idea giusta, quella definitiva.
Per fortuna, per quanto tale atteggiamento sia radicato, modificarlo non è difficile. Occorre rendersi conto che, dove c’è orgoglio non c’è libertà e che a non avere libertà non è tanto chi subisce l’“ultima parola”, ma proprio chi la afferma. Chi ha a che fare con una persona orgogliosa, prima o poi finisce col lasciarlo nelle sue convinzioni, e così rimane libero di poter pensare e di potersi esprimere come meglio crede con chiunque altro. La persona orgogliosa invece resta lì, con la sua inutile affermazione di forza, come una vecchia statua di un condottiero di cui non importa più niente a nessuno. Abbandonare l’orgoglio intellettuale significa innanzitutto liberare il proprio pensiero.
Certo, le prime volte che rinuncia ad avere l’ultima parola avrà una sensazione di sconfitta, di inferiorità; ma se esce dall’idea del confronto e del dibattito intesi come un ring su cui si gioca il proprio valore, allora si approda alla bellezza del vero scambio, del dialogo fecondo. Si raggiunge la libertà di poter dire quello che si pensa davvero, si può cambiare idea e si può anche osservare come spesso non vi sia una sola idea giusta, ma possano coesistere possibilità diverse, punti di vista che si integrano pur nell’essere opposti. Non bisogna dunque imporre "l’ultima parola" e pretendere di avere più ragione dell’altro, ma ascoltare, proporre, associare, mischiare, estrarre nuovi spunti. L’integrazione rappresenta sempre un livello più elevato di conoscenza e di libertà. Perché non perseguirla?
Rapiti dal bisogno di aver ragione e di dire l’ultima, spesso le persone orgogliose non si accorgono degli effetti negativi che producono negli altri. Ne esiste una vasta gamma: nei più insicuri si crea senso di inadeguatezza, dubbio continuo, frustrazione rispetto alle proprie idee e speranze; in quelli che si considerano paritari subentrano irritazione, nervosismo e insofferenza per l’impossibilità di avere un dialogo sano ed utile e, alla lunga, si manifesta la tendenza ad evitare tali relazioni. Chi invece “vede” il fenomeno per quello che è, cioè un’espressione di aggressività mascherata (e, quindi, di insicurezza), può rassegnarsi e mostrare condiscendenza, lasciando campo libero all’orgoglioso come si fa con i bambini quando insistono su qualcosa. In tutti i casi, il dialogo e la relazione vengono inquinati pesantemente dal suo atteggiamento.