Anoressia: i segnali rischio
I disturbi alimentari, specialmente quelli dei più giovani, stanno conquistando sempre maggiore attenzione sui giornali. I genitori di conseguenza sono più attenti ai segnali che possono rivelare il manifestarsi di uno di questi disturbi. A volte notano che le figlie scartano alcuni cibi o si mettono a dieta e hanno il sospetto che si tratti di un principio di anoressia e non sanno come intervenire.
Psicologi, specialisti e associazioni che si occupano di disturbi del comportamento alimentare elencano gli atteggiamenti e le caratteristiche della personalità che ricorrono con più frequenza nei soggetti colpiti. Sono segnali cui i genitori devono prestare attenzione, ma senza eccessivi allarmismi, in quanto riscontrabili, in misura maggiore o minore, nelle "normali" manifestazioni dell'adolescenza.
Anoressia: quando intervenire
Il ragazzo può essere a rischio di anoressia quando, a fianco di un isolamento sociale serio, si innesca una condotta poco sana nei confronti del cibo. Gli adolescenti spesso non parlano in famiglia, tendono a chiudersi nella loro camera, dove a volte consumano anche i pasti. È un comportamento in sé normale e piuttosto consueto. Ma se diventa col tempo un rifiuto categorico di parlare, un'abitudine costante di saltare i pasti o non consumarli mai insieme alla famiglia o di farlo con atteggiamenti nervosi o aggressivi, allora è necessario intervenire. Altri due indicatori importanti sono l'attenzione ossessiva per il peso, che viene espressa informandosi e parlandone in maniera continua, e una dedizione eccessiva per l'attività fisica, svolta alla scopo preciso di perdere peso.
Anoressia? Cosa fare
La cosa migliore da fare, quando temiamo che nostro figlio manifesti dei comportamenti a rischio anoressia, è quella di rivolgersi a un medico tempestivamente. Sarà lui a decidere se il bambino o il ragazzo ha necessità di interventi specialistici. Per il genitore è impossibile fare una diagnosi perché la sua preoccupazione può attribuire importanza a comportamenti che di patologico non hanno nulla. Rivolgersi subito allo psicologo è invece prematuro, talvolta anche dannoso perché il giovane si sentirebbe un "sorvegliato speciale" quando invece forse sta solo attraversando una normale fase di ribellione adolescenziale. Sono i medici di base, eventualmente i pediatri, secondo l'età del bambino, a valutare e a indirizzare alle strutture specializzate, dove operano anche gli psicologi.