Raffaele Morelli: «Perché sto male se le cose vanno bene?»
L'aiuto pratico

Raffaele Morelli: «Perché sto male se le cose vanno bene?»

Passiamo la vita a occuparci dell’esterno, di mete da raggiungere, proiettati nel futuro. E dimentichiamo l’interiorità. Poi un giorno, di colpo, arrivano ansia o depressione e ci spiazzano: «Perché proprio a me?». Ma è questo il momento in cui tornare a occuparti del mondo interno. Solo così arriva il vero benessere

Durante una depressione, un attacco d’ansia o di panico, nelle paure, nell’insonnia, nei fallimenti è veramente inutile soffermarsi sul mondo esterno o dare la colpa a qualcuno. Semmai la domanda è: dove vuole portarmi il disagio?

Qualche giorno fa mi ha cercato un mio conoscente, Marco: ha appena compiuto 65 anni, è un ingegnere e svolge un lavoro di alto livello e grande successo, sia economico sia d’immagine. Nel suo campo è davvero il numero uno ed è molto apprezzato. I figli sono grandi e realizzati nel loro lavoro e con sua moglie va d’accordo. Eppure, la depressione da due o tre anni lo incalza.

È stato in cura da psichiatri che lo hanno riempito di psicofarmaci. Sul lavoro è ancora capace, ma appena torna dall’ufficio o quando sta in una camera d’albergo durante i viaggi, beve e spesso, quando è solo, pensa al suicidio. È invaso da continue paure ipocondriache: dal cancro, all’infarto, all’ictus, alla leucemia. Si sottopone a esami, ma da quando la depressione si è fatta più marcata, la paura delle malattie si è ridotta.

Il paradosso è che ha paura di ammalarsi e contemporaneamente medita di suicidarsi. Sua moglie dice: «Ha tutto: case, soldi, amici, anche diversi hobby, ma è veramente infelice». Tutti lo incoraggiano: figli, parenti, colleghi… Qualcuno lo sgrida perché non reagisce; ma lui si sente sempre più perso.

Eliana invece ha 54 anni e, dopo la morte della madre, avvenuta 3 anni fa, è entrata in una crisi depressiva sempre più grave. Anche lei sul lavoro va bene: dirige un laboratorio di chimica ed è molto considerata nel suo ambiente. Non le manca apparentemente nulla, eppure sta male.

Giulio, che ha 32 anni, è laureato in economia: tutto bene il lavoro, tutto bene con la fidanzata. Arrivano però attacchi d’ansia che sfociano nel panico. E poi negli ultimi mesi si è presentata un’insonnia che lo porta a fare abuso di farmaci. Apparentemente tutto funziona, ma l’anima è infelice…

E Francesca, 22 anni, è la migliore della sua università: voti ottimi, un ragazzo che sua mamma definisce perfetto, che le sta sempre vicino... Eppure lei si sveglia al mattino con pianti immotivati, con la paura di uscire di casa da sola. Tutto funziona, ma non per lei.

Bravi nel lavoro, ma...

Quasi tutti vengono in psicoterapia per un motivo: un rapporto difficile, un addio, una ferita del passato, un trauma, una serie di frustrazioni, di fallimenti. Molti non amano il proprio carattere, vivono in perenne lotta con se stessi e credono che la psicoterapia darà loro quella perfezione che in realtà non esiste. Ma quando va tutto bene, perché si dovrebbe star male?

Nelle quattro brevi storie che vi ho raccontato per sommi capi, i protagonisti hanno qualcosa in comune. Sono bravi, bravissimi nel loro lavoro o nei lori studi, ma non hanno una vita interiore. Marco è fondamentalmente centrato sulla sua attività lavorativa. Sì, ha l’hobby dei viaggi con sua moglie. Hanno girato praticamente tutto il mondo, ma Marco non ha mai avuto un momento in cui stare da solo a fare quello in cui i bambini sono maestri: giocare, disegnare, leggere storie, chiudere gli occhi e fantasticare tanti personaggi, travestirsi e mettere il mondo reale in secondo piano.

Lo stesso si può dire di Eliana, Giulio e Francesca: vanno bene nelle cose che riguardano il giudizio esterno, ma non hanno uno spazio proprio. Per “spazio proprio” non intendo quella sciocchezza che viene chiamata “lavorare su di sé”, cioè chiedersi se siamo giusti o sbagliati e domandarci chi siamo e dove andiamo. Non siamo stati fatti per ragionare sui sentimenti, sugli affetti, sul passato. Non siamo neanche stati fatti per capire se siamo giusti o sbagliati e men che meno per migliorare. Migliorare vuol dire quasi sempre cercare di assomigliare a un modello: questa è la cosa peggiore che possiamo fare a noi stessi.

Siamo sì al mondo per adattarci alla vita di tutti i giorni, per realizzarci, come hanno fatto e fanno i protagonisti delle storie che vi ho raccontato. Ma senza tralasciare il lato oscuro, impersonale: l’Ombra. Non andremmo a dormire tutte le notti, nel regno dei Sogni, se non ci fosse necessario stare con le Immagini, spegnere i pensieri e uscire dal Reale.

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L’Ombra ti chiama

Marco, Eliana, Giulio e Francesca sono persone razionali o per meglio dire: solo razionali. Marco, l’ingegnere, da ragazzo scriveva poesie, ora non sa più cosa sono. In lui la fantasia, il sogno, la creatività si sono spenti, sono stati messi da parte. Il poeta che c’era è sparito. Senza creatività, puoi fare tutti i soldi che vuoi, avere l’applauso della folla, ma l’anima si sente morire e si deprime. Ognuno nasce, come aveva detto Jung, con un “germe”, uno ”schema primitivo”: se prendi una via unilaterale, centrata sull’esterno, ti ammali.

Lo stesso è successo a Eliana, che crede sia stato il divorzio a metterla in crisi. Lei ora sta bene in laboratorio, ma quando torna a casa continua a pensare al lavoro. Ma un tempo, quando era una ragazza, si metteva davanti allo specchio e ballava, cambiandosi continuamente l’abito come un’indossatrice. Era una Dea, ora è solo una Dirigente. Non può bastare: ci sono gesti, atti, riti, che ci curavano nell’adolescenza e li facevamo senza saperlo.

Maturando buttiamo via tutto per adeguarci al reale, pensiamo che la vita si svolga solo all’esterno, come se la vita delle immagini non servisse a niente, o fosse solo tempo perso. Se non fantastichi, se non fai sogni a occhi aperti, se non giochi, se non crei con le mani, se non ti distrai dalla tua vita personale ti ammali, perché commetti l’errore più grande, che è quello di credere che il mondo sia solo fuori di te.

Giulio, il giovane economista, non sa cosa sia la “spensieratezza”, è tutto concentrato sul successo lavorativo da raggiungere: ha un’ipertrofia della ragione che non lo fa mai rilassare. Così arriva l’insonnia: l’anima lo vuole sveglio, non per pensare, ma per godersi la vita.

E la “piccola” Francesca è perfetta nello studio, ma il suo femminile è spento. Così l’anima piange fin dal risveglio: vuole indossare altri abiti, da donna.

È ora il tempo di vivere

Ovunque vai, qualsiasi progetto hai in mente, distraiti. Cerca il tuo lato impersonale, immagina, fai volare la percezione del Vuoto, dell’assenza del reale: allora l’inconscio ti regala la completezza, che è il centro della tua unicità. Se siamo troppo attaccati all’esterno entriamo in quella che Jung chiama “l’isola della Nevrosi Felice”, dove tutta la nostra mente è orientata a produrre sempre più risultati nel reale.

Verremo sempre proiettati nel futuro, in cui raggiungere sempre più mete esterne: magari vanno bene a quelli che abbiamo intorno, ma avremo perso “la grande cosa” che ci abita.

«La “grande cosa” invece è qui e ora. Il momento eterno è questo e, se non ce ne rendiamo conto, avremo perso la parte migliore della vita»

(C. G. Jung, Visioni)

Se siamo solo ancorati al nostro io, alla realizzazione nel mondo esterno, l’anima ci chiama con la depressione. Non dobbiamo spaventarci, ma ricordarci che il nostro “schema primitivo” ci sta chiamando per prenderci cura del nostro mondo interiore.

Vuoi raccontarci la tua esperienza, i tuoi dubbi, i tuoi successi? Manda una mail a raffaele.morelli@riza.it

raffaele morelli
Psichiatra e Psicoterapeuta. Fondatore e Presidente dell’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, Direttore responsabile delle riviste Riza Psicosomatica, Dimagrire, MenteCorpo.
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