Raffaele Morelli: Il vero farmaco: chiudi gli occhi e immagina
L'aiuto pratico

Raffaele Morelli: Il vero farmaco: chiudi gli occhi e immagina

Dedicare una parte della propria giornata a fantasticare sgancia dal mondo superficiale dei pensieri e dei progetti dell’Io e riporta alla sorgente antica del nostro essere, dove nascono i talenti che ci caratterizzano e la vera gioia di vivere

C’è un errore di fondo di cui dobbiamo liberarci: è quello di credere che noi siamo soltanto le cose che ci sono accadute. L’altro errore è quello di ritenere che posso dirigere la mia vita con il pensiero, con lo sforzo, con la volontà. Il terzo errore è pensare che in noi ci siano cose sbagliate, da correggere, o situazioni da risolvere: relazioni difficili, lavori insoddisfacenti, ambizioni frustrate, fallimenti insuperabili, amicizie deludenti. Ragionare sul nostro futuro non porta da nessuna parte... Immaginare sì!

Anche nei momenti più difficili, anche quando crediamo che non usciremo più da certe crisi ci sono nell’inconscio immagini che ci curano, che provvedono a noi. Stare con se stessi è un’arte che ignoriamo, che richiede indicazioni pratiche che dobbiamo assolutamente conoscere. Pensare e ripensare ai problemi porta a cronicizzarli, prenderne le distanze aiuta, ma il vero farmaco è chiudere gli occhi e immaginare soprattutto alberi e animali, perché contengono l’energia che ci cura, in quanto ricca di istinti, di saperi innati e antichi.

L’immaginazione è un bagno terapeutico nelle forze trasmutatrici che ci fanno maturare, evolvere. Pensare ai problemi personali significa non risolverli mai, invece chiudere gli occhi e immaginare sviluppa le energie naturali proprie di un individuo

Non pensare, immagina di Raffaele Morelli

Quando arriva un disagio, chiudi gli occhi e affidati alle immagini interiori. Scopri come nel libro Non pensare, immagina di Raffaele Morelli.

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Un minuto per fantasticare

Ecco cosa mi scrive Antonella:

«“Ci sono immagini che devi incontrare”: questa frase di un suo libro mi ha subito colpito. Da un po’ di settimane mi sono ritagliata 10 minuti per fantasticare a occhi chiusi, come lei suggerisce sempre nei suoi libri. Mi sono detta: perché ripensare alle cose che reputo sbagliate quando posso utilizzare la mia energia psichica per immaginare, fantasticare cose nuove? E così l’ho fatto.
Sono rimasta stupita di una cosa. Avevo immaginato di essere in un grandissimo deserto, sola su un cammello con una bottiglia d’acqua. Camminavamo tutto il giorno io e il cammello. Ogni tanto ci fermavamo per riposarci e bere un po’ d’acqua. Ad un certo punto vedo lontano un leone e appena lo vedo scoppio di felicità e con uno spirito avventuroso mi dirigo verso di lui, abbandonando il cammello.
Dopo aver fatto questa fantasia sono andata su Internet e ho visto che questi due animali sono citati nel libro “Così parlò Zarathustra” e a tal proposito Jung dice che il cammello vive da solo e che questa attitudine è da mettere in pratica nel caso in cui ci troviamo di fronte a compiti difficili. Il cammello è parsimonioso e vive nel deserto, dove non c’è molto cibo o acqua. Nietzsche afferma: il deserto cresce, guai a chi abita deserti! Bisogna essere cammelli per sopravvivere nel deserto. Ma cosa rappresenta questo deserto? Jung suggerisce che il deserto rappresenti quel nulla che raggiunge una persona una volta che ha messo in discussione tutto ciò che sapeva e tutto ciò in cui credeva. Quando si diventa cammelli, ci si può muovere nel deserto, ma presto, liberi da ogni costrizione, si diventa leoni.
Ora, dottore, capisco quando lei dice che “siamo molto più antichi di quello che pensiamo” e che dentro di noi ci sono cose di cui nemmeno lontanamente possiamo immaginare l’origine. La mia storiella di fantasia sapeva già tutte queste cose! Vorrei consigliare a tutti di fantasticare di più, di immaginare, di distrarsi e pensare agli animali con cui sentiamo un’affinità. Perché immaginando, come è successo a me, si attivano dei saperi innati che sono dentro di noi da sempre».

Via dal sapere artificiale

Immaginarsi nel deserto significa liberarsi da tutto quello che rappresenta il superfluo, l’inutile, il cerebralismo che impera in quest’epoca. Gianfranco Ravasi scrive:

«Ecco una malattia del nostro tempo, amare ciò che è complicato e considerare come profondo il discorso confuso e indecifrabile».

Abbiamo una mente piena di dubbi, di rami secchi, di pensieri che ridondano e perdiamo la dote più grande di ogni essere umano: la semplicità. Così Ravasi cita Albert Schweitzer:

«Lo spirito della nostra epoca disprezza ciò che è semplice. Non crede più che la semplicità possa corrispondere a profondità. Si compiace di ciò che è complicato e lo considera profondo».

Il sapere del deserto, incarnato dal cammello di Antonella, ci ricorda che anche nel Nulla, anzi soprattutto nel Nulla, nella mente vuota, nella solitudine, c’è la nostra vera identità, la nostra forza interiore. Non la vediamo perché è coperta dalla nube delle opinioni degli altri che abbiamo fatto nostre. Il cammello rappresenta anche la forza terapeutica, l’acqua misteriosa che ci protegge e che è presente anche nei momenti più difficili.

Più ci liberiamo del sapere artificiale che ci si è incollato addosso e più diventiamo signori di noi stessi, come il leone, il re della forza. Mentre i pensieri ci chiudono nei problemi personali, le immagini ci rendono ricchi di simboli, di energie misteriose, antiche, che non hanno bisogno di parole, ma solo di essere vissute.

Vuoi raccontarci la tua esperienza, i tuoi dubbi, i tuoi successi? Manda una mail a raffaele.morelli@riza.it

raffaele morelli
Psichiatra e Psicoterapeuta. Fondatore e Presidente dell’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, Direttore responsabile delle riviste Riza Psicosomatica, Dimagrire, MenteCorpo.
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