Non accettare fino in fondo un lutto può favorire poi l’insorgere di una crisi depressiva: occorre ricordare sempre che la perdita fa parte della vita
È il primo nella “classifica” dei traumi capaci di generare una depressione. Il lutto, la perdita di una persona cara è per natura l’evento che più può far cadere in crisi. Oggi la possibilità di elaborarlo, ovvero superarlo attraverso un graduale processo di accettazione, sta diventando sempre più ardua. I tempi della modernità rendono difficile fermarsi, o almeno trovare gli spazi per “stare con il proprio dolore”. La tendenza è di rimettersi subito a lavorare, di mostrarsi forti, anche perché manifestare fragilità e commozione spesso – soprattutto nell’ambito professionale – è segno di debolezza e si rischia di pagarlo caro.
Le responsabilità chiamano, non bisogna farsi vedere piangere. A ciò si aggiungono le frasi che arrivano dall’esterno, a volte in buona fede ("Dai, stai su, lui non avrebbe voluto vederti così"; "Almeno ha smesso di soffrire"), a volte persino ciniche ("Adesso non facciamone un santo!") che tentano di suscitare un’improbabile consolazione o un’inutile quanto irritante obiettività su chi è mancato. Se poi è un anziano a morire, "è nell’ordine delle cose" e "in fondo ormai la sua vita l’ha fatta".
Sia chiaro: non che la vita debba fermarsi, non che ci si debba vestire a lutto per un anno, ma se in tutte le tradizioni del passato il lutto era un periodo sacro e rituale un motivo ci deve pur essere. Ed è questo: esso è una delle esperienze fondamentali della vita e il dolore deve essere vissuto nel modo “migliore”, e solo ognuno, dentro di sé, sa qual è. Se non concediamo al cervello di elaborare il lutto, lo farà lui attraverso una crisi depressiva, anche di notevole intensità.