Se scappi da te stessa, il prezzo è la depressione
Depressione

Se scappi da te stessa, il prezzo è la depressione

Quando la vita è una continua fuga, stai evitando il confronto con ciò che temi di più, il tuo vero volto. Fermati e accogli il vuoto che senti: sarà lui a rigenerarti

Ogni volta che ci illudiamo di riempire un malessere, un vuoto interiore con azioni esterne, puntualmente il disturbo si aggrava o si cronicizza, costringendoci a fermarci per guardare nella sola direzione utile, la nostra interiorità. Il racconto di Lidia, lettrice di Riza Psicosomatica, lo spiega molto bene.

"Ho 32 anni; da tempo alterno momenti normali ad altri di forte depressione. Ho sempre addebitato il mio malessere a un lavoro insoddisfacente, così sei anni fa mi sono iscritta (di nuovo) all’Università, ma nel frattempo è arrivata una buona occasione di lavoro all'estero e mi ci sono buttata, lasciando gli studi appena intrapresi. Poi il lavoro mi ha stufato e sono tornata nella mia città per qualche mese, quindi sono ripartita per un altro posto, dove tuttora vivo e lavoro, insoddisfatta come sempre. Mi sento male perché ormai ho capito che il mio problema non è il lavoro e nulla mi rende serena neanche qui. Ho una gran confusione in testa e ci sono giorni in cui sento un vuoto incolmabile. Anche quando frequento dei ragazzi accade la stessa cosa: grande entusiasmo iniziale e puntualmente dopo un po’ arriva la delusione e le storie finiscono. Persino le amicizie non mi soddisfano mai. Non so più dove scappare, sento che non sarò mai davvero felice e che la depressione, che in questo periodo si è fatta più intensa, non mi abbandonerà più."

Quando parliamo di depressione, di solito immaginiamo una situazione statica, una persona chiusa in una stanza, in ritiro dal mondo. Non è sempre così: ci sono casi nei quali il malessere si manifesta in una sorta di frenesia continua, un agire compulsivo senza una vera direzione. Ma dopo tanto peregrinare, Lidia si trova sempre al punto di partenza. Questa volta però c'è una novità, che può cambiare il corso della sua esistenza. Si è finalmente accorta che le cause esterne (il lavoro insoddisfacente, gli amori sbagliati, le amicizie) sono solo alibi. Il problema è tutto interno e quindi rivoluzionare di nuovo la vita sarebbe inutile. Il destino l'ha riportata davanti alla sola porta che non ha mai voluto aprire, quella della sua anima. Ecco cosa può fare attraversarla.

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Liberati dagli automatismi mentali

Attribuire la causa del proprio disagio al lavoro, all'amore giusto che non arriva mai o alle amicizie che deludono sempre, è un diffuso automatismo mentale: se sto male sarà per questo o quest'altro motivo. Quindi agisco sul motivo e lo elimino, così starò bene: la storia della nostra lettrice dimostra il contrario. Lidia inizia il suo racconto parlando di un'infelicità attribuita a un lavoro insoddisfacente, che la porta alla decisione di iscriversi nuovamente all'Università, in breve tempo abbandonata: è arrivata un'occasione professionale all'estero e lei ci si butta, come fa regolarmente. Ma anche questo lavoro non va, così lei torna e dopo un po' riparte. La sola cosa che sembra non cambiare mai nella sua vita è il malessere, una voce interiore che Lidia sente ma non ascolta come dovrebbe, presa com'è da una specie di fuga esistenziale perenne che la fa girare a vuoto, alla ricerca di qualcosa che così facendo non troverà mai: la sua armonia.

Il cambiamento continuo non modifica nulla

Certo, nel corso della vita, alcuni cambiamenti sono necessari e anche benvenuti, ma modificare la propria esistenza di continuo equivale, paradossalmente, alla stasi peggiore. Lidia crede che Il problema sia il vuoto che sente, mentre in realtà è il modo sbagliato con cui tenta di colmarlo a farla stare male. Non a caso, agisce con il medesimo schema non solo sul lavoro, ma anche in amore e con le amicizie: l'entusiasmo iniziale fa presto spazio a una forte delusione, così lei chiude e si rimette in cerca di qualcosa o qualcuno che la possa riempire. Ma chi potrà farlo davvero, se non lei stessa? Come potrà trovare felicitàe appagamento continuando a credere che sia possibile ottenerli da un nuovo lavoro, dal ragazzo giusto che sarà il prossimo o dall'amica fedele che non ti delude mai? Lidia insegue chimere ideali in ogni aspetto della sua vita e così si condanna a ricominciare sempre tutto da capo. In tal senso, come detto, è una vera fortuna che oggi non sappia più dove scappare. La vita l'ha messa all'angolo, perché finalmente faccia la sola cosa utile: arrendersi, crollare, cedere all'impatto con il vuoto interiore, che non arriva per tormentarla senza scopo ma per spazzare via quel personaggio perennemente in fuga che è diventata.

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Rompi lo schema che ti imprigiona

La depressione, che arriva ciclicamente e che ora sente più forte, è proprio il necessario contrappeso psicologico che la sua anima mette in campo per ridurre la zavorra di quegli entusiasmi tanto esplosivi quanto fragili che si spengono inesorabilmente di fronte alle normali difficoltà della vita o a qualunque momento di riflessione. La sua anima le sta urlando di fermarsi, di orientare lo sguardo proprio verso quel vuoto interiore che non ha mai voluto guardare: solo contemplandolo e dunque attraversandolo potrà liberarsi dal mondo illusorio nel quale si è ingabbiata. Rompere gli schemi comportamentali consueti è la sola prova che occorre affrontare quando il malessere sembra insuperabile: all'inizio è difficile, perché gli automatismi della mente superficiale ci suggeriscono la solita strada, quindi, nel caso di Lidia, una nuova fuga. Occorre sapere che si tratta di sirene: apparentemente seducenti, in realtà mortifere. L'insoddisfazione esistenziale, se ben percepita e accolta con atteggiamento cedevole, partorisce da sola soluzioni inaspettate, che la mente razionale non può mettere in campo. Non le servirà a nulla rimettersi in viaggio, se prima non avrà fatto quella sosta introspettiva che la sua anima reclama da troppo tempo.

Lascia andare le zavorre

Un antico mito narra di un supplizio che gli dei greci inflissero a un personaggio, Sisifo, reo di aver provato ad ingannarli. L'uomo era costretto a spingere un pesantissimo masso fino alla cima di un monte, ma appena giungeva alla vetta, la pietra rotolava fino a valle, costringendolo a ricominciare da capo, in eterno. Ogni volta che ci sentiamo prigionieri di uno schema fisso che ci siamo imposti, noi siamo come Sisifo. Per aiutarci a evadere dallo stereotipo comportamentale, possiamo fare un esercizio immaginativo. Isoliamoci, chiudiamo gli occhi e fantastichiamo di essere come l'antico protagonista del mito: siamo in salita, arranchiamo, e ben sappiamo quante volte abbiamo già percorso la stessa strada. Percepiamo bene la fatica, la frustrazione, l'impotenza, il peso. Ora voltiamoci di lato e guardiamo il panorama sottostante: scegliamo un punto e, con tutta la nostra forza, immaginiamo di scagliare la pietra in quella direzione, con un urlo liberatorio. A Sisifo non era permesso, noi possiamo farlo!

andrea nervetti
Psicologo e psicoterapeuta, collabora dal 2001 con l’Istituto Riza di Medicina psicosomatica di Milano dove esercita la libera professione. Vice Direttore e Docente presso la Scuola di specializzazione in Psicoterapia a indirizzo psicosomatico dell’Istituto Riza. Membro del Consiglio direttivo della SIMP (Società italiana di medicina psicosomatica), scrive per le riviste Riza Psicosomatica, Antiage ed è responsabile del sito www.riza.it. Svolge anche attività libero professionale presso l'Istituto stesso e a distanza via internet. La scheda completa dell'autore
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