Lasciarsi quando un rapporto è ormai spento è inevitabile per riprendere in mano la propria vita e aprirsi a nuove occasioni: ecco come farlo senza inutili sofferenze
Forse non è mai stata un’abilità diffusa, quella di lasciarsi, dimenticare un uomo o una donna, di chiudere i rapporti in modo sano quando questi sono ormai esauriti. Negli ultimi anni però sembra che le cose siano peggiorate, almeno a giudicare dai resoconti delle persone che vanno in psicoterapia. Ciò che colpisce, in particolare, è che quasi sempre si vada ai due estremi: o relazioni finite che si trascinano nel tempo, o rotture brusche, improvvise e conflittuali. Come se il tema del lasciarsi fosse ancora difficile da affrontare e da elaborare, al punto che, di fronte a esso, molti di noi tirano fuori le parti peggiori di sé, le nevrosi irrisolte, le rabbie di antica data.
Tra le molte coppie che si separano, un’alta percentuale continua a sentirsi telefonicamente, a mandarsi messaggi ed e-mail: si tratta di chiarimenti ulteriori, di puntualizzazioni spesso inutili, di rinfacci, di rivendicazioni, di tentativi conciliatori, di controlli reciproci (o almeno da parte di uno dei due). Ma non solo: non è raro che ci si incontri di nuovo, che a volte si viva ancora un po’ di intimità, si discuta, si faccia la pace, e quando uno sta per incontrare qualcun altro, ecco arrivare l’sms dell’ex che ancora chiede qualcosa. È un atteggiamento che impedisce a entrambi di riprendere la propria vita, tenendola “a bagnomaria” in una situazione in cui il passato si ripropone a frammenti, il presente ne viene disturbato e il futuro non riesce a essere concepito. In pratica il rapporto non si chiude, e ciò rende difficile aprire nuove vie.
In altri casi il rapporto si è esaurito, ci sarebbe da confrontarsi e da decidere, con maturità, di interrompere la frequentazione e lasciarsi. I toni potrebbero anche essere accesi, ma la chiusura sarebbe sancita in modo realmente liberatorio. E invece o ci si insulta per poi non parlarsi più, o si sparisce, restando in entrambi i casi carichi di livore, di cose non dette e di fraintendimenti. Tutti elementi che lavorano in modo sotterraneo nella psiche e non lasciano liberi di riprendere il cammino. È come se una parte della mente fosse sempre impegnata a rimuovere il lascito di quel rapporto che, a tutti gli effetti, non è ancora concluso: si è interrotto, ma non è stato archiviato. Rimuovere, del resto, non significa superare un problema, ma tenerlo lì, “congelato”, cioè sospeso solo momentaneamente.
Entrambe queste modalità di conclusione dei rapporti esprimono un’ansia da separazione: molti hanno paura del momento dello stacco, anche se quel rapporto è ormai finito. Desiderano concluderlo ma pensare di farlo mette ansia. È un processo inconscio, che riattiva la paura arcaica di restare solo, di non essere accettato, di essere mal giudicato, di far del male all’altro (su cui proiettiamo una parte fragile di noi stessi), di non avere più quel riferimento. E, nel caso della rottura, anche il timore di avere torto, la difficoltà a tollerare la frustrazione. E a tutto ciò si aggiunge in molti casi una reale incapacità di confrontarsi e di compiere i passi di una chiusura di rapporto, come se nessuno ce l’avesse mai insegnato, e forse è proprio così.
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Fin da quando siamo piccoli ci viene insegnato come iniziare le cose, ma non come porvi fine. Siamo pieni di “rituali di inizio”, ma non abbiamo per nulla l’idea che servano anche i “rituali di fine”. Ad esempio c’è il rituale del matrimonio, ma la separazione avviene di solito senza rituale e quindi è caotica, conflittuale e per questo sofferta, a volte addirittura pericolosa. Insomma: non conosciamo le leggi del lasciarsi, del concludere, che sono importanti tanto quanto quelle del mettersi insieme e dell’iniziare. Provare ad apprenderle significa sentirsi più sicuri, gestire la paura, alleggerirsi la vita e farla ripartire più spedita di prima: ne vale sicuramente la pena.