Che fare se l'amica non parla mai di sé
Comunicazione

Che fare se l'amica non parla mai di sé

Il dialogo alla base dell'amicizia è bloccato. Ma forse non è lui ad essere cambiato, ma noi: all'inizio cercavamo un "confidente" di cui ora non abbiamo più bisogno. Come comportarsi in questi casi

Se l'amica è solo una confidente

«Dopo oltre vent'anni di intensa frequentazione - ci scrive Laura - mi sono resa conto di una cosa che mi fa molto male: la mia migliore amica, la depositaria dei miei segreti e sentimenti più profondi, è per me una perfetta sconosciuta. Io non so niente di lei; non c'è nessun reciprocità confidenziale. Lei non esprime mai niente di sé, del suo privato, delle sue vere opinioni: ascolta o parla degli altri. Al massimo racconta alcune cose che fa di routine, ma ora che "la vedo" non riesco più a sentirla vera, e anche se non me lo dice, nei suoi silenzi sento che mi giudica. Come posso ancora considerare questa Sfinge un'amica? Ci sto male, perché vorrei chiudere con lei ma non ci riesco, qualcosa me lo impedisce ma non so cos'è».

Lo sfogo di Laura bene illustra il destino di diverse amicizie nate venti o trent'anni prima, in contesti psicologici e biografici così diversi da quelli di oggi, che riuscire a mantenerle spesso è difficile e talora, se si soffre, neanche auspicabile.

Una reciprocità che non è mai esistita

Forse il problema risiede proprio nel tempo che è passato, spingendo uno dei due a un cambiamento che solo ora fa vedere la notevole asimmetria di questa relazione d'amicizia. Un'asimmetria che c'è sempre stata e che anzi era forse il punto di forza del rapporto, il suo motivo di esistenza, ma che oggi, agli occhi di chi è cambiato, appare come un limite doloroso. Ai tempi, quando l'amicizia nacque - probabilmente da ragazze - una aveva estremo bisogno di un confidente, di un "contenitore" del proprio vissuto, per scaricare le ansie, per parlare, condividere un segreto, per attutire le paure e ha investito l'altra di questo ruolo, che ha anche delle sfumature genitoriali - ciò fa pensare a un'atavica carenza comunicativa con i veri genitori. L'altra aveva caratteristiche che ben si prestavano a questo ruolo; disponibilità all'ascolto, attitudine a non esprimere giudizi, capacità di attutire picchi e abissi emotivi dell'interlocutore, tendenza a dare consigli "mediani" ammantati di buon senso: ciò che serve a chi ha fame di sicurezza e di convalide.

L'incastro tradito

Poco contava che alla radice di queste capacità ci fossero, già ben strutturate, la refrattarietà a mettersi in gioco, la probabile presenza di giudizi morali, il bisogno di vivere della vita altrui per la pochezza di eventi della propria, la difficoltà con le emozioni forti. Al momento l'incastro era perfetto per entrambe, un idillio. Ma il tempo plasma le coscienze: il "confessore", sempre un po' ai margini della vita vissuta, rinforza i suoi tratti; il "confidente", sempre al centro del flusso vitale, approda ad altre forme, ad altri sguardi, e l'asimmetria - «Io ti dico tutto, tu mi ascolti» - si fa stretta. Ora quest'ultima vorrebbe un rapporto paritario proprio con la persona di cui è diventata amica per i motivi opposti, ma ciò non avviene. Cerca un dialogo nuovo, un incontro più maturo, ma ottiene freddezza, e scopre che tutto quanto negli anni è stato depositato in lei è stato giudicato spesso in modo molto negativo, con una notevole carica di aggressività. Si sente tradita: «Proprio lei!»; eppure anche l'altra si sente tradita. In realtà è il cambiamento che ha tradito il vecchio, tacito incastro.

Serve una nuova comprensione e parole nuove

Ora però chi è cambiato non può pretendere che l'altro faccia lo stesso. Spetta invece a lei comprendere quanto è avvenuto e quanto lei stessa sia stata collusiva: l'amicizia assomigliava troppo a un rapporto terapeutico (il silenzio dell'analista) e genitoriale (i consigli e l'accoglimento), nel quale lei aveva mitizzato l'amica, riempiendola di sé, trasformandola in un "archivio storico" della propria biografia, in un monumento a se stessa nel quale specchiarsi. L'altra certo non si metteva in gioco ma davvero per vigliaccheria? O forse c'era pudore, timidezza, paura del giudizio, senso di inadeguatezza di fronte a tale "esondazione" di vita e di confidenze? O un'ammirazione/invidia che la faceva sentire viva di riflesso senza rischiare? Ora l'amicizia va avanti per inerzia e se ci si incontrasse oggi forse non si diventerebbe più amiche. Ma è necessario sciogliere questo conflitto almeno dentro di sé: prendere atto che si sta cercando una nuova complicità, profonda e reciproca e che non potrà essere con il vecchio "confessore". Per questo occorre cercare senza fretta un rapporto più equilibrato, laddove è possibile e consensualmente desiderato. Non perché è il nostro archivio, un pezzo di storia, ma perché le vogliamo bene. Se così è...

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