Molte sofferenze nascono dal fatto che pretendiamo stabilità e sicurezza, mentre tutto muta e segue i suoi cicli: accettare questa legge universale fa cessare il dolore
Prima o poi arriva, e arriva per tutti. E’ quel momento in cui improvvisamente la nostra vita sembra aver imboccato un vicolo cieco: una crisi da cui non sappiamo uscire, la fine di una relazione che non riusciamo a superare, la sensazione di non avere più stimoli. Questa mancanza di senso ci spinge ad un’affannosa ricerca nel tentativo di ritrovarlo. D’altronde fin da piccoli ci è stato insegnato che l’impegno e la costanza sono l’unico modo per affrontare le difficoltà e così ci intestardiamo per uscire da questa situazione difficile. E così, quello che fino ad ora era un naturale momento di criticità (esistenziale, sentimentale, relazionale, spirituale o psicologica) diviene a tutti gli effetti un problema.
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È necessario fermarsi un attimo e fare un passo indietro e ricordarsi da dove arriva l’essere umano. Perché pur essendo l’apice dell’evoluzione e la massima espressione della civiltà, la nostra origine è sempre dentro di noi. Questa origine si chiama natura. E, come sappiamo, in natura tutto è ciclico: le stagioni, i giorni, perfino i passaggi delle comete e le configurazioni del cielo notturno. Non dovrebbe stupirci allora che anche la nostra vita si regga su un ciclo continuo di nascita e rinnovamento in ognuna delle nostre attività: le stesse relazioni, per esempio, nascono, raggiungono un certo livello di qualità e intensità e infine “muoiono”. Una morte che può essere reale, nel senso di conclusione di quella relazione, oppure metaforica, nel senso di cambiamento dell’assetto precedente e nascita di uno nuovo. Ma ciò vale anche per i sentimenti, le amicizie, le passioni, i progetti: è la “natura della natura”, un continuo divenire attraverso il susseguirsi di ritmi e di cicli.
Per questo, la fine di un ciclo, quella crisi apparentemente senza uscita di cui parlavamo all’inizio, è inevitabile. Opporsi a questa evidenza genererà quella sofferenza che tentiamo disperatamente di superare. Ma perché questo avviene? Proprio perché siamo umani: da un lato soggetti ai cicli della natura come tutti gli esseri viventi, dall’altro diversi da tutti loro perché dotati di una coscienza individuale che, bramando coerenza e stabilità, ci spinge a sottrarci a questi ritmi, o almeno a quelli più dolorosi. Un conflitto che non può essere risolto semplicemente ripetendosi di accettare passivamente ciò che finisce. E allora come affrontare questo passo, questo necessario cambiamento?
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Diventa fondamentale assumere un atteggiamento nuovo. Se il cambiamento è naturale allora bisogna smettere di sorprendersi quando le cose cambiano o finiscono. Questo significa uscire dall’idealizzazione e liberare tempo ed energie per percepire davvero il cambiamento intorno a noi. Cosa sta cambiando? Come? Questa attenzione renderà possibile il secondo passo: cogliere nella difficoltà aspetti che possono volgere a nostro favore, guardare le cose da una prospettiva nuova, fare pensieri mai pensati prima di allora. Stiamo davvero solo perdendo qualcosa? Si tratta veramente di una conclusione? Questo è quello che si chiama “sguardo penetrante”. Uno sguardo che non esclude la sofferenza, ma la comprende e la trascende: non più il timone che guida il nostro approccio, ma una parte di noi che c’è e a cui va dato spazio mentre il processo di rinnovamento prosegue. Il problema, dunque, non è che le cose finiscano o cambino, ma il modo in cui affrontiamo questi momenti. E già il solo fatto di provare a cercare il modo giusto per farlo è di per sé fonte di grande rinnovamento.