Chi è sempre pronto a farsi in quattro per gli altri recita spesso una generosità eccessiva che nasconde un bisogno inconscio di controllo e approvazione altrui
Ognuno di noi ha un modo prevalente di entrare in relazione con gli altri. C’è chi tende a essere più socievole o più riservato; chi tende ad aiutare e chi è più concentrato su di sé e così via. In alcuni casi, tuttavia, questa elasticità sembra non esserci: una caratteristica domina letteralmente il campo, diventando la modalità unica di relazionarsi. È quel che accade a chi recita la parte dell'altruista "totale”: quello che, innanzitutto, sempre e ad ogni costo, si dona; “quello che fa cose per gli altri”, che si sacrifica e, cosa fondamentale, che non prende e non riceve mai.
LEGGI ANCHEManipolatori: se li conosci, li eviti
Ma non è che gli altri non gli vogliano restituire il favore: è lui (o lei) che impedisce alla radice che qualcuno possa offrirgli un aiuto, fargli un regalo o condividere paritariamente una sofferenza o un piacere. Il flusso univoco che il super-altruista impone alla relazione è: lo scambio deve andare in una sola direzione, da lui all’altro, altrimenti si infastidisce, non è a suo agio, va in ansia e si sente in debito e dovrà fare presto qualcosa per ricambiare e rimettere non in pari, ma a suo vantaggio, il bilancio complessivo “dare-avere”. In breve tempo, così, intorno a lui si crea un mondo di persone che hanno bisogno di lui fino a esserne dipendenti, altri che approfittano di questo aiuto continuo, e altri ancora che si sentono intrappolati e manipolati perché in effetti, nel rapporto con lui, non sono liberi di esprimersi. Devono ricevere ed essere grate all'altruista, e comunque non lamentarsi di lui, che così si sente al sicuro nel personaggio dell'irreprensibile di donatore di sé.
LEGGI ANCHETest: sai difenderti dai manipolatori?
Dopo un po’ questo schema produce inevitabilmente un malcontento e il peggioramento di tutte le relazioni. La persona ha creato un personaggio altruista che le permette di non mettersi mai veramente in gioco, di porsi (almeno all’inizio) al riparo dalle critiche e di gestire rigidamente, sulla base dei propri bisogni consci e inconsci, relazioni di ogni tipo: sentimentali, familiari, amicali, sociali e, entro certi limiti, anche professionali. Tutto questo, però, in psicologia ha un solo nome: manipolazione. Il super-altruista, proprio perché “super”, impone il suo altruismo e rivela così il suo bisogno di far andare le cose come dice lui: sembra che rinunci a se stesso - e in parte è così - ma in realtà lo fa anche per ottenere quello di cui ha disperatamente bisogno: accettazione incondizionata e conferme di essere una persona brava e irreprensibile. È questa la prima consapevolezza, scomoda ma fondamentale, che bisogna raggiungere.
Occorre rinunciare al “personaggio” altruista, rigido e impositivo, per tornare alla “persona”, elastica e accogliente, capace di uno scambio biunivoco con gli altri, cioè di vere relazioni. Per chi soffre della sindrome del super altruista non è facile, perché gli viene spontaneo seguire sempre lo stesso schema. La motivazione al cambiamento, allora, può essere trovata nel valutare i danni - o comunque gli scarsi risultati - di questa strategia. L’altruista deve chiedersi: questo ruolo mi rende felice? Mi appaga? Viene incontro ai miei bisogni e ai miei desideri reali? Non è che magari, intimamente, mi sento stanco e frustrato? E forse anche irritabile? Quando ho bisogno di una mano, come faccio? E poi: nel medio/lungo termine, le mie relazioni vanno bene? Gli altri si sentono veramente aiutati o mostrano insofferenza verso di me? Nelle relazioni più strette, si sentono frustrati? Mi accusano - incredibilmente! - di essere un egoista? In molti casi, le risposte tenderanno al negativo e porteranno, quindi, all’esigenza di cambiare.
Il super-altruista deve imparare a immedesimarsi nelle persone. Paradossalmente non lo fa mai: non si dona perché ha un interesse proprio per “quella persona”, ma perché deve donarsi per stare bene. Quindi spesso non è affatto attento alle vere esigenze altrui: uno o l’altro è lo stesso. Mettersi nei panni altrui lo aiuta a comprendere come si sente chi, in una relazione cui tiene, deve essere sempre quello che deve ringraziare, che non può criticare in nome di quanto ricevuto, che non può esprimersi con un regalo, con un aiuto o con una condivisione effettiva. Apparirà evidente che gli altri si sentono manipolati, gestiti, compressi. Che percepiscono imposizione e aggressività mascherata ma concreta. E, prima o poi, migreranno, senza gratitudine e anzi con rabbia, verso rapporti fatti di scambi reciproci. Immedesimarsi, dunque, può portare a un benefico “shock”, che apre le porte a una trasformazione: il super-altruista, tolto il super, potrà dare agli altri solo quando è necessario o ne ha veramente voglia, e non per nevrosi...