La depressione non si vede e per questo spesso è sottovalutata da parenti, amici o colleghi: ecco le frasi da non dire e come comportarsi per non danneggiare chi sta male
Di fronte a una gamba ingessata nessuno ha niente da dire: si vede che è rotta, non ci sono dubbi che il malcapitato non possa fare le cose che fa di solito. E lo stesso accade per moltissime malattie. La depressione invece non si vede: è il sistema nervoso a creare il problema, quindi non si può sapere con certezza - o almeno così pensa la mentalità comune - se sia vera oppure no. Senza contare che molti non sanno nemmeno esattamente cosa sia, la depressione. Ecco allora che a chi ne soffre tocca spesso difendersi da tutti quelli che sottovalutano la sua malattia. E lo fanno con una convinzione tale da convincere a volte lui stesso che, in realtà, si sta sbagliando, sta esagerando, sta vedendo quello che non c’è. E se questo pensiero banalizzante riesce a farsi strada nella sua mente, ecco che anche lui comincia a pensare di essere quasi un impostore, di voler utilizzare “la scusa” della depressione per sottrarsi alle sue responsabilità.
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Ma cosa dicono gli sdrammatizzatori? C’è chi considera la depressione un alibi, un pretesto per sottrarsi a qualcosa di sgradito. C’è chi, proiettando il proprio narcisismo, ne parla come di una paturnia, cioè un disagio privo di senso e basato sul nulla, che ha lo scopo di riempire un vuoto o di attirare l’attenzione. C’è chi, proiettando la propria ignoranza in materia, pensa che basti una pillola per far sparire la depressione e che, dunque, la sua lunga durata sia frutto di un’esagerazione. E infine c’è chi, proiettando la propria monolitica concretezza, la considera espressione di debolezza di carattere, un sintomo che viene a chi può permetterselo perché non ha cose più serie a cui pensare; se le avesse, non si sentirebbe depresso perché non ne avrebbe il tempo. Si tratta, in tutti e quattro i casi, di pensieri che sviliscono non solo il sintomo della depressione, ma anche la persona che lo porta, giudicandola, di caso in caso, pavida, egocentrica, esagerata, immatura.
Così, oltre a star male, chi soffre di depressione deve anche lottare, proprio mentre è senza forze, contro questi giudizi e pregiudizi e impedire loro di approfittare della sua momentanea fragilità. Certo non è facile, perché a volte chi è depresso prova un certo sollievo nel sentirsi dire che la sua situazione non è grave come pensa e queste frasi, pur manipolatorie e irrispettose, sembrano offrire la consolazione di una visione meno drammatica. In sostanza quelle frasi gli dicono: "Non hai niente!". Ma la depressione è un fatto reale, ed è lì che avanza con la sua apatia, con il non senso, con il senso di colpa e di inadeguatezza, con il pessimismo, con l’autosvalutazione…
Difendere il sintomo da interpretazioni sbagliate è fondamentale perché prenderlo sul serio è l’unico modo per curarlo, qualsiasi ne siano le cause e l’intensità. Ciò significa che non dobbiamo cullarci nella depressione, bensì legittimare l’esistenza di un malessere invisibile e interiore. Ne abbiamo assoluto bisogno proprio per poterlo affrontare nel migliore dei modi e dei tempi. La frase: "Sì, lei soffre di depressione, e di questo specifico tipo di depressione", detta dallo specialista e vissuta nel modo giusto, è il punto di partenza per la guarigione, così come ogni diagnosi è fondamentale per impostare la cura di qualsiasi patologia organica.
Da questa legittimazione - di cui non tutti coloro che sono depressi necessitano, ma chi si fa influenzare sì - deriva una scelta fondamentale: quella di proteggere anche la terapia dagli attacchi di chi non capisce. Spesso le cure, in particolare la psicoterapia, sono mal considerate e viste come ulteriori perdite di tempo e di soldi. Ebbene, riuscire a difenderle significa essere già a buon punto, perché implica amore per se stessi e cura di sé, che sono proprio ciò che la persona depressa ha perso per strada.