Con le cicatrici, il corpo supera le ferite: quando un grande dolore ci colpisce, la depressione svolge la stessa funzione: se l’accogli, la fai tramontare
Un grande dolore, del corpo o dell’anima, una depressione è prima di tutto un processo evolutivo. Immaginiamolo come un fiume: ha un’origine, riceve affluenti, attraversa nuovi territori e poi sfocia perdendosi nel mare. Non è un evento statico, non è un monumento, non è una stele ricoperta di iscrizioni che raccontano una vecchia storia a chi passa di lì. Più lo pensiamo così, più durerà: così la depressione. Se accogliamo la depressione, se la viviamo come un evento naturale avrà uno svolgimento, con un inizio e soprattutto una fine. Lo spiega bene Silvia, una nostra lettrice colpita da un’improvvisa e terribile perdita.
«Quando mi hanno comunicato dell’incidente mi è letteralmente franata la terra sotto i piedi. Carlo non c’era più. E con lui erano sparite la nostra vita insieme, le domeniche al mare, le cene, i viaggi. E poi, la nostra casa… Ho passato giorni e settimane a fissare la sua scrivania, in preda alla depressione più nera.. Non spostavo libri e appunti nel timore di perdere ogni sua traccia. Mi sono barricata in quella casa, non permettevo a nessuno di entrare, piangevo per lunghe ore. Poi una mattina ho notato uno spiraglio di luce entrare dalla persiana: l’ho aperta e mi sono accorta che era sbocciato un giacinto nel vaso sul davanzale. Nel sentire il suo incantevole profumo non so dire cosa sia successo, sembra incredibile ma ciò che ricordo esattamente è di aver provato una gioia inspiegabile. In qualche modo in quel momento ho capito che la depressione mi stava lasciando, che ero finalmente pronta per riaprirmi alla vita».
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Cosa accade quando ci tagliamo? Il nostro organismo attiva una serie di processi naturali che terminano con una cicatrice. Ogni passaggio di questo processo è funzionale alla guarigione del tessuto ferito, così come il dolore, il pianto, lo struggimento e quindi la depressione lo sono per le grandi ferite dell’anima. Ecco perché resta una cicatrice: la ferita è guarita, ma tramite quel segno possiamo ricordarci attraverso cosa siamo passati per diventare ciò che siamo. E bisogna accettare le fasi fisiologiche del dolore e della cicatrizzazione senza interferire. Altrimenti il dolore può trasformarsi in alibi e la depressione diventare cronica. "Noi passiamo più tempo a dolerci e a roderci - afferma la scrittrice e psicanalista junghiana Clarissa Pinkola Estés - di quanto ne passiamo quotidianamente a piantare nuovi semi nelle vecchie ferite". Ogni cicatrice è il segno che testimonia il passaggio di un dolore, non certo la sua permanenza.
Un'altra lettrice, Veronica, racconta la sua esperienza:
«Quando Piero mi ha lasciata per un’altra più giovane la mia vita si è fermata di colpo, nove anni dissolti come cera di una candela. Lui non mi amava più, ma io bruciavo ancora di desiderio per lui. All’inizio credevo che nulla avrebbe dissolto quel dolore. Avevo perso fiducia nell’amore ed ero piombata nella depressione. A un certo punto, però, mi sono guardata allo specchio: stavo forse diventando come quelle donne che avevo sempre disprezzato, sempre in depressione, inacidite dalle delusioni, che rinunciano alla vita? Non era colpa del mondo se mi era successa quella cosa: era successa, stava a me superarla.
Così mi sono detta: basta! Ho cominciato a curarmi da sola le ferite: mi sono presa cura del mio aspetto, ho ritrovato la passione per il lavoro, ho rivoltato la casa inaugurando uno spazio solo mio. E ho ripreso a guardare con fiducia il mondo. Quella cicatrice la porto con me e non voglio cancellarla: senza di lei non sarei più io».
Depressione, dolori, sofferenze e “strappi” non sono mai vani, ma tappe fondamentali nel nostro percorso di crescita. Guardare quei segni non significa mettersi nella posizione di eterno martire, ma in quella di chi è aperto al nuovo e all’inaspettato. Quanto più ti liberi dall’identificazione con un’immagine di te sofferente, tanto più arriva spontaneamente la felicità.