La scelta “matrimoniale” soffre, stretta tra vecchi modelli logorati e nuove esigenze difficili da assecondare: se ne esce solo accettando i cambiamenti
Il numero sempre crescente di separazioni, di divorzi, di psicoterapie di coppia e di malesseri sono lì a indicarlo: la coppia sta male o forse, per meglio dire, in coppia l’individuo sta male. Oggi chi è single viene spesso guardato come un privilegiato che ha ancora accesso al proprio tempo, alla libertà, al futuro. Come una persona che vive in una più che sostenibile leggerezza dell’essere, a fronte della pesantezza di chi sostiene una vita ufficiale di famiglia. È ovvio che si tratta di un’idealizzazione, perché molti single vorrebbero al contrario avere una vita sentimentale stabile, ma rende l’idea di quanto in coppia si respiri aria di crisi.
Così, se un tempo il single era chiamato, con accezione negativa, scapolo o zitella e considerato “solo”, oggi a sentirsi solo – perché “non capito” dal partner o perché perduto in una vita inaspettatamente faticosa - è sovente chi ha coppia e famiglia. Il single ha se stesso, chi ha famiglia o ha perso se stesso o lotta per non perdere l’ultimo lembo di sé. È una situazione che può essere analizzata da molti punti di vista, ma il più convincente riguarda il tema dei ruoli e dei modelli di riferimento. Ci si sposa, si va a convivere, si fanno figli, e lo si fa avendo ancora, inconsciamente, aspettative e pezzi di mentalità dei tempi che furono che fanno a pugni con le esigenze di oggi.
Ad esempio oggi si desidera una grande libertà personale, ma al contempo ci si sente in colpa perché si vorrebbe essere genitori attenti e presenti; si persegue la carriera ma al contempo si soffre perché la coppia si spegne, priva di tempo e di energie per l’intimità. La donna è scontenta: di sé, perché pur sentendosi più forte di un tempo, non riesce a ricomporre un’armonia tra le parti della personalità; e del partner, che vede come sempre più inadeguato rispetto alle sue nuove e multiformi esigenze. E l’uomo è scontento della partner, che considera come una che non è mai contenta e che non sa bene cosa vuole; e non è scontento di sé solo perché si inganna raccontandosi che va tutto bene.
La via d’uscita da tutto questo c’è. Consiste in una vera e definitiva presa di coscienza che la psiche individuale di oggi è cambiata. Ed è cambiata in modo irreversibile. La donna, quasi sempre, non si realizza più come madre, nel senso che l’essere madre è una parte della sua realizzazione, e spesso neanche la principale. Ciò non significa certo che non vuole bene ai propri figli, ma che sono emerse esigenze psichiche individuali che è inutile far finta che non ci siano. E questo non è né un limite né una colpa, ma una caratteristica che deve essere accolta. L’uomo, a sua volta, non è più l’eroe monolitico di un tempo, ma deve fare i conti con emozioni nuove che spesso non sa come gestire, nonché con contraddizioni interne che hanno bisogno di essere accolte, e non compresse in ruoli tradizionali che le fanno esplodere.
La complessità psichica è aumentata enormemente e a incontrarsi sono due complessità in divenire e, quindi, in pieno disequilibrio. Non possiamo pensare di stare insieme e di mettere su famiglia come si faceva un tempo. È cambiato tutto, anche l’eros, la spiritualità, la relazionalità. Non possiamo restare incastrati tra i vecchi modelli e quelli nuovi, e non c’è una via di mezzo. La psiche moderna chiede modernità anche alla coppia.