Quando la sofferenza dura da molto tempo, per guarire occorre affidarsi ad uno sguardo più ampio, privo di commenti e inedito: quello dell’anima
Spesso siamo succubi di un’idea profondamente sbagliata: crediamo che le sofferenze passate siano destinate a durare per sempre. Molti danno la colpa a un trauma, presunto o reale, per giustificare tutto ciò che non va nella loro vita. Racconta Fabrizio in una mail: “Ho provato a mettermi in proprio, ma è andata male. Covo sempre troppa rabbia e faccio fallire tutto. Colpa della mia infanzia: mio padre se n’è andato quando ero piccolo e nessuno badava a noi”. Marta, invece, che è in cura per i suoi continui attacchi di panico, spiega: “Sono insicura a causa della mia educazione rigida: dovevo essere sempre perfetta; e invece non mi sono laureata, ho fatto il lavoro sbagliato, ho sempre trovato uomini sbagliati... Sono un disastro”.
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L’esperienza clinica insegna che, anche quando la sofferenza dura da molto tempo, le guarigioni scattano per cambiamenti di sguardo che avvengono in un istante. Il cervello è capace di produrre “cicatrici”, quindi di guarire i traumi. Ma non opera con i pensieri: anzi, se rimuginiamo sui problemi che ci hanno ferito, li rendiamo cronici. Il mondo interno ha un modo più semplice di condurci fuori dal “tunnel” della sofferenza: non ama le analisi che vivisezionano il processo, predilige uno sguardo più allargato, privo di commenti, che si avvale di un linguaggio nascosto e simbolico. Come spiegava Carl Gustav Jung, l’anima non risolve i problemi: li supera semplicemente, ma per ognuno questo processo è diverso.
Marta ha detto addio al panico quando l’immagine di un’altra Marta, più “matta” e libera, ha iniziato a visitarla: assecondandola e dandole corda, tutto è cambiato, niente più sensi di colpa e modelli di perfezione da seguire. Grazie a un’iniezione di spontaneità il panico è sparito. Invece Fabrizio ha smesso di recriminare su un padre fallimentare e di riprodurre i suoi errori, quando ha ritrovato alcune vecchie lettere del genitore: che stupore riconoscersi negli stessi pensieri e negli stessi atteggiamenti, nonostante Fabrizio fosse sicuro di oriarlo! Una tenerezza infinita l’ha travolto e qualcosa si è sbloccato dentro di lui. Ha così smesso di essere una lamentela vivente, di voler dimostrare a tutti qualcosa e di farsi guidare dalla rabbia.
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A volte è sufficiente un’immagine per superare la sofferenza. Seguendo un’immagine, un’intuizione o un’emozione - che possono presentarsi in qualsiasi momento della giornata - ci affidiamo alla guida sapiente del nostro mondo interno, come è successo a Claudia. Ecco il suo racconto: “Dopo la maternità mi sono ritrovata in sovrappeso di quindici chili, mio marito ha cominciato a non avere più desiderio nei miei confronti e a tradirmi con un’altra. Da qui alla depressione il passo è stato breve, ma non osavo dirgli niente per paura di perderlo definitivamente. Ce la mettevo tutta per dimagrire e tornare a piacermi e a piacergli, ma con scarsi risultati. Un giorno come tanti, prendendo il metrò, noto un uomo che mi guarda insistentemente la scollatura della camicetta: mi sono coperta con la mano e gli ho lanciato un’occhiataccia, ma lui mi ha sorriso. Sono arrossita, ho provato rabbia, vergogna ma anche piacere e curiosità… Da quel giorno lo incrocio sul metrò tutte le mattine e ci scambiamo degli sguardi. Fra noi non è mai successo niente, però lo penso sempre, è diventato il mio segreto, grazie a lui ho ricominciato a sentirmi una donna desiderabile, sono dimagrita almeno dieci chili in due mesi e mio marito si è accorto del cambiamento”. Cosa rappresenta per Claudia quell’immagine di uomo affascinante? Forse Eros, che viene a trovarla e per cui vale davvero la pena farsi trovare in forma!
Quando ci sentiamo feriti da qualcuno o quando una situazione ci fa star male, il rischio è di scegliere tra queste due risposte sbagliate:
- Reagire subito, negando il problema per non farci vedere deboli: in tal modo, però, non diamo tempo al mondo interiore di passare tramite le fasi naturali e fisiologiche del dolore e dell’auto-guarigione, e così la ferita dell’anima scende in un luogo più nascosto e resta aperta.
- Fare di quella ferita uno “sfregio”, trasformandolo nella cosa più importante che ci è accaduta: essere feriti diventa un modo di vivere protratto nel tempo attraverso un atteggiamento lamentoso, pessimista e rassegnato. Così, però, rendiamo cronico il dolore (“Non sarò mai più quello di prima”) e facciamo ruotare su di esso la nostra vita.
“Ho sempre lavorato nella convinzione che non ci sono problemi insolubili, l’esperienza mi ha dato ragione, perché spesso ho visto individui superare dei problemi grazie ad un innalzamento del livello di coscienza. Quando cioè nell’orizzonte del paziente compariva un qualsiasi interesse più elevato e più ampio, il problema insolubile perdeva tutta la sua urgenza grazie a questo ampliamento delle sue vedute. Non veniva dunque risolto in modo logico, per se stesso, ma sbiadiva di fronte a un nuovo e più forte orientamento dell’esistenza. Non veniva rimosso e reso inconscio, ma appariva semplicemente sotto un’altra luce, e diventava così realmente diverso. Ciò che a un livello inferiore avrebbe dato adito ai conflitti più selvaggi e a paurose tempeste affettive, appariva ora, considerato dal livello più elevato della personalità, come un temporale nella valle visto dall’alto della cima di un monte... I problemi più grandi e importanti della vita sono, in fondo, tutti insolubili; e non possono non esserlo perché esprimono la necessaria polarità inerente a ogni sistema di autoregolazione. Dunque non potranno mai essere risolti, ma soltanto superati”.
C. G. Jung, Il segreto del fiore d’oro