Cleptomania: quando a rubare è la mente
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Cleptomania: quando a rubare è la mente

Si tratta di un disturbo mentale difficile da riconoscere e che genera allarme sociale, ma la cleptomania ha un senso che va compreso: eccolo

Ogni tanto sui giornali si legge di una persona denunciata per furto e risultata poi cleptomane. Di che cosa si tratta? La cleptomania è una vera patologia o una "scusa" per provare a non incappare nele maglie della Legge, una volta presi con le mani nel sacco? Facciamo chiarezza.

Indice dell'articolo

Cleptomania: cos'è

L’etimologia della parola cleptomania viene dal greco kleptein, cioè "rubare" e manìa, cioè psicopatologia, nevrosi. Cleptomane è chi, spinto da un impulso incontrollabile, sembra "costretto", anche senza motivo e/o bisogno, a rubare. La cleptomania, se accertata, nel nostro sistema giurisprudenziale costituisce causa di non punibilità, poiché si tratta di un disturbo diagnosticabile secondo i criteri delDSM V (il manuale diagnostico sui disturbi mentali più utilizzato al mondo). In particolare, viene inserita fra i disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta.

Il valore del "malloppo" non ha importanza

Chi ruba e soffre di questo disturbo in genere ruba oggetti di poco valore che, spesso, poi butta o regala: il cleptomane non ruba per lucro o per bisogno, al contrario dei ladri di professione. È possibile affermare che chi soffre di questo disturbo, a livello inconscio, desideri essere scoperto e punito a causa dei suoi desideri antisociali: sa benissimo che quel che fa è contro la legge ma il piacere che prova per il furto lo spinge ad eliminare qualunque freno o inibizione.

Cleptomania, una gratificazione assai pericolosa...

Un’ipotesi attendibile è che il cleptomane rubi per concedersi ciò che è proibito, male cose non sono così semplici: la tensione del furto procura certo un piacere psicologico che può dare dipendenza, ma l’oggetto rubato è anche simbolico dell’affetto che si crede non aver avuto a sufficienza o che al cleptomane è sembrato impossibile da ottenere normalmente. Con il furto si torna, paradossalmente e patologicamente, alla normalità, sia sociale sia affettiva, si compensa cioè un vuoto con la destrezza della ruberia pur sapendo, d’altra parte, di meritare con ciò una punizione che, alla lunga, molto spesso arriva.

Non si cura con gli psicofarmaci

La cleptomania (riscontrata in maggioranza nel sesso femminile) è la spia di una mancata funzionalità della psiche e si associa ad altri disturbi come la depressioneo, nei casi più gravi, alla dissociazione. Negli Stati Uniti si è provato, con scarsi risultati, una via di cura farmacologica, mentre il trattamento più appropriato e che ottiene maggiori risultati è la psicoterapia, in grado di restituire alla persona un più stabile adattamento, aumentando il benessere interiore e liberandola da questo disturbo che rende la vita complicata e dolorosa. Solo nei casi più gravi e reiterati, è consigliabile associare alla psicoterapia il supporto di un farmaco antidepressivo. Per quanto concerne i percorsi di cura, il problema principale è che i cleptomani, data la particolare natura del disturbo, tendono a sfuggire al monitoraggio dei servizi pubblici deputati alla salute mentale, cui spesso arrivano dopo essere stati fermati dalle forze dell'ordine.

Per superarla occorre capirne il senso profondo

La mente fa compiere molti atti che sono apparentemente controproducenti e dannosi (e questo è certamente il caso della cleptomania) ma non bisogna smettere di occuparsene e di domandarsene il senso: non facciamo niente a caso ed esistono sempre quindi profonde motivazioni al nostro agire. Se qualcosa che facciamo ci nuoce è necessario in primo luogo accettare di essere quello che si è e si fa, mentre il secondo passo è comprendere guardando senza pregiudizi quel che prorompe dal nostro inconscio. Solo in questo modo è possibile togliere loro quella invadenza e quella violenza che ci fanno soffrire. Come abbiamo letto poco sopra, alla base della cleptomania ci sono bisogni mancati e desideri repressi e ciò vale per la maggioranza delle nevrosi. Fin che non diamo "diritto di cittandinanza" a questi bisogni e ne accettiamo la presenza, loro si presenteranno in forme deviate o patologiche, come la cleptomania dimostra in modo chiarissimo.

Hermes, dio dei cleptomani?

Secondo la psicoterapia analitica fondata da Carl Gustav Jung, gli antichi dei, ad esempio quelli che popolano l'Olimpo greco, sono rappresentazioni simboliche di tipi psicologici umani e di forze presenti universalmente nenll'uomo. Fra loro, Hermés (il Mercurio dei romani), l'eterno fanciullo era considerato anche il dio protettore dei ladri e dei bugiardi; era però anzitutto il messaggero degli dei, un intermediario tra l’Ade (gli inferi) e l’Olimpo, tra il silenzio e la parola, tra il buio e la luce. Dunque il percorso di una buona psicoterapia è un percorso ermetico, nei meandri degli inferi, alla ricerca di verità sepolte, nascoste nelle profondità interiori. In tal senso la psicoterapia, usando parole evocative e incoraggiando il sorgere di immagini dal profondo, assolve il suo compito proprio aiutando ad eliminare i pregiudizi con i quali si è soliti osservare noi stessi. Nel caso della cleptomania si può affermare che il furto sia, simbolicamente, il frutto di una mancata comunicazione fra coscienza e inconscio, fra norme e desideri: togliendo spazio ai fraintendimenti e lavorando sul "reciproco riconoscimento" (la coscienza accoglie i desideri, l'inconscio comprende il senso delle regole collettive) si aumenta lo spazio della libertà interiore e si riduce quindi il rischio di recidiva.

Bibliografia essenziale

andrea nervetti
Psicologo e psicoterapeuta, collabora dal 2001 con l’Istituto Riza di Medicina psicosomatica di Milano dove esercita la libera professione. Vice Direttore e Docente presso la Scuola di specializzazione in Psicoterapia a indirizzo psicosomatico dell’Istituto Riza. Membro del Consiglio direttivo della SIMP (Società italiana di medicina psicosomatica), scrive per le riviste Riza Psicosomatica, Antiage ed è responsabile del sito www.riza.it. Svolge anche attività libero professionale presso l'Istituto stesso e a distanza via internet. La scheda completa dell'autore
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