Lavoro: cosa fare quando il capo fa paura
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Lavoro: cosa fare quando il capo fa paura

Il confronto con un responsabile dispotico è sempre difficile, ma giudicarsi deboli, reprimersi e poi subire tutto non serve: se accogli la paura, ritroverai anche il tuo coraggio

Ci scrive Marisa per parlare del difficile momento che sta attraversando sul lavoro. “Ho un capo autoritario, che suscita in me una paura tale da provare un senso di nausea al solo vederla, anche se cerco sempre di fare in modo che in ufficio non se ne accorga nessuno. Mi sento una persona debole per questo e non mi piace, anche perché mi accorgo che fa questo effetto soprattutto a me, gli altri lo tollerano molto meglio. Questo mi ha provocato un profondo malessere, che cerco di combattere anche con i farmaci. Mi sono messa in malattia, ma prima o poi dovrò tornare al lavoro, vivo di quello. Non è la prima volta che ho paura dei miei capi, e ricordo che da piccola avevo paura di mia mamma e della maestra a scuola, ma lo nascondevo dentro di me. Ho fatto proprio di tutto per lavorare bene con lei ma non è servito. Anzi, ottengo l'effetto opposto: più mi mostro accondiscendente più lei diventa dispotica! Forse mi sono repressa un po’ troppo e ora ne pago le conseguenze”.

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La difficoltà di lavorare con un capo autoritario

Quello che racconta Marisa è una situazione comune, che vivono molte persone quando hanno a che fare con un responsabile autoritario sul lavoro, e costituisce una delle principali cause di stress lavorativo. Non è strano sentirsi impauriti da un capo di questo tipo e alcune persone, per difesa, tendono a diventare fin troppo accondiscendenti, accumulando al loro interno molta rabbia, che non può essere espressa per timore di eventuali conseguenze indesiderate.

Un altro atteggiamento psicologico diffuso è fingere che la cosa non ci tocchi; recitiamo una serenità forzata, ma dentro stiamo male. Un senso di vergogna (sono debole) misto a impotenza (non posso farci nulla) che mette a dura prova la psiche. Non esistono ricette miracolose: la sola strada per migliorare il proprio stato psicologico è quella di rivolgere il proprio sguardo all'interno e percepire bene le emozioni che proviamo, anche le più sgradevoli, cercando di lasciare sullo sfondo la causa, ovvero il capo dispotico, che le ha innescate.

Il confronto con l’autorità interna: le tue emozioni

Occorre posare lo sguardo sul mondo interno, senza filtri. E farsi alcune domande, come le seguenti.

  • Cosa si forma dentro di me quando vivo la tensione del rapporto con il capo e il suo modo di essere? Sento paura. Bene, accolgo questo sentimento.
  • E cosa racconta la voglia di nasconderla? Dice che me ne vergogno: accolgo anche questo.
  • Cosa rappresenta la nausea che sento? Che provo molta rabbia, ma non posso esprimerla: lo accetto.
  • Che cosa simboleggia il mio diventare accondiscendente? Che vorrei sentirmi dire che sono brava e per questo subisco tutto: faccio spazio anche a questa emozione "spiacevole".

Questo semplice esercizio psicologico serve a far aumentare la consapevolezza di Marisa sul fatto che il suo star male non dipende solo dall'autoritarismo del capo, ma anche del modo che lei ha di stare in campo. Lei stessa afferma di aver sempre avuto paura dell'autorità: la mamma, la maestra, i capi precedenti, l'hanno sempre messa in difficoltà. Ma dice anche che lei ha sempre nascosto questa paura: e se fosse giunto il momento di tirarla fuori? Se fosse il solo modo di superarla? Se proprio lì fosse nascosto il coraggio che Marisa crede, sbagliando, di non possedere?

Fra rabbia e paura, arriva la nausea

Marisa crede di aver represso la rabbia e ha certo ragione, ma prima ancora ha occultato la paura e ora queste due emozioni lottano dentro di lei provocando, psicosomaticamente, quel senso di nausea che l'attanaglia davanti alla sua responsabile. Dunque è questo combattimento fra emozioni differenti che Marisa deve osservare: accogliendo entrambe le sensazioni, la loro lotta si farà via via meno feroce.

Si può dire lo stesso dell'atteggiamento accondiscendente: nasce da un profondo bisogno di essere accettati, amati, accolti. Ma l'esperienza insegna che essere supini di fronte al dispotismo non fa che peggiorare le cose, perché il messaggio che diamo sembra essere: fai bene a sottomettermi, è il solo linguaggio che comprendo da un'autorità. Solo entrando in un contatto vivo e autentico con le proprie ambivalenze e contraddizioni si possono superare i momenti di difficoltà, certo non mettendosi in malattia o ricorrendo a farmaci che in tal senso danno solo una serenità illusoria.

Cercare il proprio autoritarismo

Infine, entrando ancor più nel profondo della riflessione psicologica, la prova finale di Marisa sarà quella di fare i conti con il proprio dispotismo, con i lati aggressivi della personalità che ingigantisce negli altri (ricordiamo che ammette di essere la sola a provare per il capo un timore così intenso), e non riconosce o rifiuta in se stessa. Il fatto di essersi sempre imbattuta in vari momenti della vita in persone particolarmente vissute come autoritarie e intimidatorie, le indica che deve entrare in contatto non solo con la rabbia e la paura, ma anche con la sua parte forte, persino autoritaria, la sola che potrà aiutarla ad andare oltre le paure abbandoniche che la costringono da sempre a recitare. In questo modo, e solo in questo modo, potrà cominciare a vivere in modo più sereno il rapporto con il capo, che cesserà di essere vissuto come un demone paralizzante da temere e da blandire.

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