Chi è colpito dal complesso di superiorità cerca di rimediare alla sua insicurezza imponendosi e facendo sentire incapaci gli altri: non cadere nella sua trappola!
Sono tanti e si aggirano ovunque: in società, nelle amicizie, sul lavoro, in famiglia e nella coppia. A volte sono così tronfi che li si riconosce da subito, a volte si mimetizzano dietro una maschera di iniziale umiltà. Quel che è certo è che fanno parecchi danni alle vite degli altri. Sono quelli che soffrono del complesso di superiorità, che si sentono sempre migliori degli altri, qualunque cosa facciano e con chiunque abbiano a che fare, e che si pongono verso l’interlocutore guardandolo dall’alto verso il basso: "Io ne so comunque di più" è il messaggio che fanno passare. “Io ho le conoscenze giuste, io ho le soluzioni migliori, il mio punto di vista è più valido del tuo”. Non siamo davanti al classico narcisista, che cerca di piacere ad ogni costo per ottenere accettazione, approvazione o conferma. Chi si sente superiore la conferma se l’è già data da solo tanto tempo fa (o gliel’ha ben inculcata un genitore frustrato in cerca di riscatto): perciò non vuole riconoscimenti, ma li toglie agli altri, che, quando hanno a che fare con lui, ne escono sempre frustrati e sminuiti.
Parlarne è importante perché viviamo in una società che riconosce e premia come vincenti coloro che “fanno i vincenti”. Del resto rimanere incantati da un’ostentata sicumera non è così difficile. Basta che uno sia un po’ insicuro, ed ecco che chi si sente superiore arriva come una guida salvifica che gli indica la strada. Non hai la risposta pronta? Ecco che chi si sente superiore agguanta la conversazione con le sue frasi a effetto e la conduce dove vuole lui; o ancora, basta che uno abbia il timore dell’autorità, ed ecco che il "Superiore" lo pietrifica con il suo tono perentorio che non ammette repliche. È come se l’insicuro, avendo a che fare con questo vincente autoproclamato, acquisisse per vicinanza un po’ di quella sicurezza, tanto da provarne una soggezione venata di gratitudine.
Per mettersi al sicuro da questi soggetti è necessario avere ben chiaro un concetto: ammesso che abbia senso parlare di superiore e inferiore, chi è in possesso di una vera superiorità (intesa come capacità specifica, come esperienza o come visione del mondo) non ha alcun bisogno di esibirla e, ancor di più, di farla pesare per acquisire potere in un rapporto. Perciò, se vediamo qualcuno che deve sempre farci vedere che la sa più lunga, che cerca di “metterci sotto” e di farci sentire inadeguati, dobbiamo pensare che sia lui ad avere un problema, ossia un grande complesso d’inferiorità. Così grande che la persona non può considerarlo neanche per un istante. Il suo inconscio tanto tempo fa, in automatico, ha risolto la questione rimuovendolo dalla coscienza e compensandolo con il suo opposto, cioè con una falsa e apparente super-sicurezza.
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Che sia un complesso - cioè una fissazione della psiche - d’inferiorità, lo si può notare dal fatto che chi si sente superiore non si trattiene dall’esibirsi anche quando ha davanti a sé una persona che, su un certo tema, ne sa davvero di più. Non è raro vederlo argomentare con dei medici senza essere medico, o con ingegneri senza essere ingegnere, e così via. Crede di dialogare alla pari, ma la scena è grottesca e rivela il suo immane bisogno di “sentirsi qualcosa o qualcuno”. Si può dire che, quanto più egli mostra di “essere”, tanto meno, nel profondo, sente di essere. Una volta che lo si vede per quel che è, viene quasi da aiutarlo, ma è impossibile, poiché lui non si accorge del problema: ci crede davvero! Piuttosto dobbiamo aiutare noi stessi a non farci avvolgere dall’assurdo carisma che la sua pseudo-sicurezza può esercitare su di noi, a volte anche al di là del suo stesso volere.
Dopo la consapevolezza di chi è davvero chi soffre del complesso di superiorità, il secondo passo consiste nel lavorare sulla nostra risposta emotiva. Ciò su cui il superiore fa leva sono il modo e i toni con cui si esprime. La voce abbastanza alta e ben impostata, il tono senza cedimenti anche di fronte a ogni evidenza contraria, la postura e i movimenti della persona esperta, ben piantata su se stessa e sulle proprie convinzioni. Ebbene, tutto questo ci colpisce e fa sì che la nostra emotività superi la razionalità. Il punto allora è impegnarsi, in quei momenti, a restare lucidi, a discernere e a non lasciarsi impressionare. Facciamo il possibile per restare legati non tanto alle nostre idee - che possono anche cambiare – ma alla nostra capacità e autonomia di ragionamento. Non affidiamo “la verità” a chi la mette meglio in mostra, o a chi sostiene di averla. Argomentiamo, di volta in volta, a partire dalle nostre idee, mettendole in gioco solo con chi ha voglia a sua volta di farlo. Perché nel vero scambio non c’è un superiore e un inferiore, ma un arricchimento reciproco.
Non solo chi è insicuro può essere influenzato da chi sopffre di complesso di superiorità, ma anche chi ha le idee chiare. È come se la loro assertività desse a tutto ciò che dicono un’aura di autorevolezza. Il segreto per non farsi invadere non consiste tanto nel sapere ciò che si vuole o nell’avere la risposta pronta, ma nel dare più autorevolezza a se stessi. Può capitare che una persona conosca bene ciò che le piace o di cui ha bisogno, ma che non legittimi a sufficienza questo suo sapere a cui manca il “timbro”: sì, questa cosa vale ed è così; oppure ragiona in modo anche raffinato, ma viene sopraffatta dalla falsa ma potente autorevolezza di chi si attribuisce un sapere superiore. Siamo chiamati a rafforzare il sentirci “autori” dei nostri pensieri, perché evidentemente su questo punto siamo deboli. Non cerchiamo perciò il timbro dell’autorevolezza negli altri, ancor più se sbruffoni. È pericoloso: ci espone a manipolazioni e non ci rende protagonisti delle nostre scelte.