Alla larga dai parenti invadenti
L'aiuto pratico

Alla larga dai parenti invadenti

Se parlare con i genitori o i fratelli ti porta indietro nel tempo, a una dipendenza che ti fa ancora soffrire, occorre reagire; ecco come liberarti e conciliare affetto e autonomia.

Un passato che... non passa

Capita spesso: stiamo vivendo la nostra giornata quando arriva la solita telefonata di un familiare (della nostra famiglia d'origine, non di quella che nel frattempo abbiamo costruito) e ci rovescia addosso i suoi problemi, le sue ansie e i suoi soliti atteggiamenti tortuosi e vagamente ricattatori, facendoci ripiombare in uno stato che conosciamo bene e che non ci piace. Certo, è una persona cui volgiamo bene e che non dobbiamo perdere, ma il suo disagio ci riporta in una palude emotiva da cui stiamo tentando di uscire. La mamma ansiosa, il papà musone, la nonna ipocondriaca, la sorella con le fobie, il fratello depresso: basta sentirli ed ecco che la nostra mente perde vigore, umore, slancio e anche energia.

Il vero problema sono le nostre dipendenze, non "loro!"

Siamo irritati dal sentire sempre le stesse cose e dal vedere le stesse modalità e ci sentiamo regredire. È come se dal passato, da un vecchio modo di essere a cui anche noi abbiamo partecipato, arrivasse una voce che, senza volerlo, tenta di "tirarci giù", indietro, a come eravamo prima, a quella dimensione di origine da cui deriviamo ma da cui, psicologicamente, abbiamo bisogno di staccarci per essere veramente noi stessi. Tuttavia è proprio il fatto che quel contatto in qualche modo ci influenza, a segnalarci che non siamo ancora fuori da quella dimensione. Se quelle modalità ansiose o depressive ci fanno addirittura cambiare umore, vuol dire che c'è ancora dipendenza fra noi e quella persona. Se invece ci irritano, vuol dire che un po' ne siamo fuori, ma siamo ancora un po' coinvolti, come in fondo è comprensibile.

Distanti ma vicini

La meta ideale non è ovviamente diventare degli insensibili che si disinteressano dei problemi dei propri cari, ma raggiungere un'autonomia mentale ed emotiva che ci renda capaci da un lato di continuare normalmente le nostre attività, dall'altro di individuare di volta in volta qual è l'atteggiamento migliore da tenere col familiare: cioè se supportarlo (senza diventarne lo psicoterapeuta), se dare spazio al suo disagio o se lasciar correre. Una meta che si può raggiungere solo se ci ricordiamo che relazionarci con i familiari senza colludere con le loro nevrosi non significa volergli meno bene. Anzi.

Puoi volergli bene anche senza cadere nella solita palude

Non farti influenzare

Quando ci rapportiamo con familiari depressi o ansiosi cerchiamo di non far partire subito l'empatia o verremo prosciugati. Restiamo lucidi e affermiamo il nostro tono, sia mentale che fisico, senza andar dietro all'iperattività o alla macchinosità del loro agire e parlare. Restiamo presenti a noi stessi, potrebbero beneficiarne anche loro.

Non giocare nel solito ruolo

Incastrato nel suo schema mentale ripetitivo, il familiare ci chiede di "interpretare" il solito ruolo (il terapeuta, il consigliere, la mamma, la valvola di sfogo, la spalla su cui piangere ecc.). È esattamente ciò che non dobbiamo fare, dobbiamo uscire dalla collusione con quelle modalità. Se ci riusciamo, dopo il contatto ci sentiremo più forti e "più noi" di prima.

Accetta il problema così com'è

A volte è necessario accettare che il nostro intervento non può risolvere nulla, che le cose stanno così. Forse quel che c'è è il miglior equilibrio possibile. Possiamo voler bene anche senza essere una "soluzione vivente" ai suoi disagi.

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