Nonostante tecniche cliniche più rassicuranti, spesso le donne che stanno per partorire si sentono in pericolo e cadono vittime dell'ansia: come ritrovare un sereno equilibrio
Questa intensa forma d'ansia contrasta con il piglio sicuro e un po' fatalista che avevano le nostre nonne o anche le donne che vivono oggi in Paesi con molta nimore assistenza (Africa, Sudamerica e gran parte dell'Asia). Il parto, in breve, viene sentito intimamente come qualcosa di pericoloso. I motivi sembrano molteplici. Innanzitutto la donna occidentale moderna, in genere, teme molto il dolore fisico perché non vi è più abituata, usa com'è a utilizzare farmaci antidolorifici in dosi massicce.
Questo, insieme al fatto di essere molto centrata sulla dimensione "mentale" per riuscire a sostenere una vita fatta di molti impegni e di lavoro/carriera, l'ha allontanata dalla percezione piena del proprio corpo, che conosce poco e di cui teme di perdere il controllo. Il parto del resto è qualcosa che si innesca in lei (le contrazioni, la rottura delle acque, il bimbo che preme per uscire) e che va accompagnato, non guidato. Non solo: è soprattutto un evento che la obbliga ad affidarsi, cosa che soprattutto le donne con atteggiamento psichico "maschile" fanno più fatica a fare.
Le notizie di malasanità e di casi sporadici in cui le cose sono andate male aumentano poi la paura, nonostante i molti esami diagnostici rassicuranti, che il bimbo non sia sano. Il fatto che il partner possa assistere al parto aiuta solo quando egli non sia a sua volta in preda all'agitazione e all'ansia. Il tutto crea una preoccupazione molto anticipata rispetto all'evento, che turba la gravidanza. Ma il corpo della donna sa sopportare tantissimo e la motivazione fa attingere a risorse impensabili. Bisogna ricontattarle.