Esiste una rete di neuroni cerebrali che “lancia” un segnale di pericolo quando abbiamo fame: per gli antichi era indispensabile, e per noi oggi?
Cos’è che ci spinge a mangiare? E’ sempre e soltanto la fame? E questa fame da dove nasce? Dalla pancia o dal cervello? Sono domande che molti di noi si saranno fatti, ma le risposte sono spesso contraddittorie. Rispondere in modo adeguato potrebbe ad esempio essere utile in tutti i percorsi di dimagrimento, che a volte sembrano subire una sorta di “boicottaggio”. Per esempio, se analizziamo la questione dal punto di vista evolutivo, è chiaro come all’epoca degli uomini primitivi la fame fosse un istinto strettamente legato alla sopravvivenza ed era funzionale a spingere l’uomo alla ricerca del cibo. Ma oggi è ancora cosi? Tutti avremo provato la spiacevole sensazione di malessere che si accompagna alla fame, qualcosa che non ci lascia “tranquilli”. Dentro di noi suona una sorta di “campanello d’allarme” che innesca tutta una serie di comportamenti che ci portano verso la ricerca del cibo. Anche nell’uomo primitivo era cosi. Oggi si è scoperto che nel cervello esiste una specifica rete di neuroni finalizzata a rendere la sensazione della fame il più spiacevole possibile.
La rete di neuroni in questione si chiama AGRP (Agouti-peptide-expressing neurons) e la sua funzione è stata approfondita da un gruppo di ricercatori dell’Howard Hughes Medical Institute’s Janelia Research Campus di Ashburn, negli USA guidati dal dottor Scott Sternson, che ha pubblicato recentemente un articolo sulla rivista Nature. Questi neuroni sono situati in un‘area antichissima del cervello, l’ipotalamo. La funzione di questa rete neurale è legata ad un sistema molto antico di motivazione, che ci spinge a soddisfare il prima possibile i bisogni fisiologici dai quali dipendeva la sopravvivenza. Questo perché nel nostro cervello la fame è un segnale strettamente legato ad una sensazione di potenziale pericolo: se non ti procuri al più presto del cibo ne va della tua vita.
La ricerca, pubblicata su Nature, è stata effettuata su topi che sono stati ripetutamente sottoposti alla stimolazione dei neuroni AGRP e successivamente esposti a diverse condizioni di accesso al cibo. Il dato interessante è stato che la rete di neuroni veniva “silenziata” non solo quando l’animale mangiava, ma già dal momento in cui vedeva il cibo e sapeva di poterlo raggiungere. Un sistema affine è stato rinvenuto anche per quanto riguarda la sete: altri neuroni, situati in una zona del cervello vicino ai ventricoli cerebrali ed in diretto contatto con l’ipotalamo, chiamata “organo subfornicale”, sono responsabili della spinta alla ricerca di acqua attraverso la generazione di una “sensazione fastidiosa” che si spegne solo quando il soggetto si è messo alla ricerca di acqua ed è riuscito a raggiungerla.
Che cosa significa tutto questo per noi che viviamo in una società in cui vi è sovrabbondanza di cibo facilmente raggiungibile e che al contrario cerca per gran parte del tempo di limitarne l’assunzione? Possiamo dire che il nostro cervello continua ad essere regolato sempre dallo stessa sistema degli uomini primitivi ma forse ciò che è cambiato è la nostra autentica distinzione della sensazione di “pericolo”. Oggi è davvero fame o è piuttosto una sensazione di “pericolo” che ha altre origini? La mia “ sopravvivenza “ è davvero messa in pericolo dalla mancanza di alimenti o quella sensazione di spiacevole malessere ha altre origini? Non sarà che molto spesso mangiamo troppo proprio per riempirci e “fuggire” quella sensazione di malessere che in realtà non c’entra nulla con la scarsità e quindi con la fame? Sono domande alle quali dovremmo imparare a rispondere ogni volta che si affaccia in noi il desiderio di cibo.