Quando siamo noi i peggiori giudici di noi stessi
Tu | fiducia in se stessi

Quando siamo noi i peggiori giudici di noi stessi

Chi teme lo sguardo altrui al punto da isolarsi e rinunciare ai rapporti umani, spesso sta solo fuggendo da se stesso e dalle proprie paure...

Una lettrice di Riza psicosomatica ci scrive "Il mio problema è che sono ipersensibile e in un mondo sempre più aggressivo ho vita dura. Frasi pungenti, allusioni, critiche: tutto mi ferisce e mi porta a rintanarmi in me stessa. In fondo desidero solo esser lasciata in pace e avere relazioni tranquille, ma pare che sia chiedere troppo. Viene poco apprezzata la cura che metto nel rispettare il mio prossimo, nel non permettermi di dire una parola in più o di giudicare, nel non creare tensioni. Sapevo che non mi sarei sposata e che non avrei avuto figli, certe cose te le senti e infatti così è stato, ma non me ne faccio un cruccio. Così come mi va bene il lavoro non esaltante che faccio ma che comunque mi dà da vivere. La mia vita, forse mediocre, mi andrebbe anche bene così, ma la solitudine mi fa paura. Ho 45 anni e sono sempre più isolata." 

Nessuno costruisce le tue prigioni, tranne te

Chi è abituato a definirsi “iper-sensibile”, non si accorge di un fatto molto importante: con la sua premessa di non sopportare alcuna ferita, chiude la bocca a tutti coloro che desiderano avere una relazione con lui o con lei, obbligandoli a rispettare i suoi spinosi confini. Nella maggior parte dei casi infatti, chi desidera solo di esser lasciato in pace, non si rende conto di vivere in una sorta di letargo in cui da tempo non succede niente di nuovo; nemmeno si accorge di vivere sforzandosi di procurare il minimo disturbo agli altri, di non fare rumore, non spostare nulla, non lasciare traccia. Ma qual è il confine tra la discrezione, agita e richiesta, e la mancanza di una relazione significativa con gli altri? Tra una vita tranquilla e un’acqua ferma dove tutto stagna? Per chi si è costruito intorno un muro di protezione così alto spesso è difficile aver consapevolezza del danno che si auto-infligge. 

Le ferite fanno bene se stimolano il cambiamento

In psicoterapia spesso si sentono frasi di questo tipo: "Quelle parole mi hanno ferito mortalmente… non le dimenticherò mai… Meglio stare sola che fare da bersaglio alla cattiveria altrui»" Eppure le parole più pericolose le diciamo noi a noi stessi, quando ci guardiamo allo specchio: "Ti conosco e so che sei così. Che non potrai essere altro che così". Lo facciamo tutti quando affermiamo di non essere destinati a una vita appagante, a un lavoro che non serva solo a garantire uno stipendio, agli amici, all'amore... Finché un giorno qualcuno ci ferisce sbattendoci in faccia quello che non abbiamo il coraggio di riconoscere. In questi casi, l'unico auspicio possibile è che quelle parole arrivino tanto pungenti da svegliarci: il sonno dell'anima è molto più mortifero del dolore acuto di una puntura. Alla nostra lettrice diciamo; perché non a considerare come un’opportunità di uscire dal torpore quelle che tu chiami aggressioni? Chi ci rispetta troppo se ne frega di noi: questa sarà solo una delle scoperte interessanti che farai. Così come chi non ci lascia stare, forse in modo improprio ci sta chiedendo una relazione autentica e non di superficie. Vedrai che differenza!

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