I ricordi dolorosi servono a farci evolvere
L'aiuto pratico

I ricordi dolorosi servono a farci evolvere

Non arrivano per farci rimanere imprigionati nel passato: la funzione dei ricordi dolorosi è quella di riattivare meccanismi di crescita che si sono bloccati

Greta scrive alla redazione di Riza psicosomatica per avere un consiglio: “Come si fa a cancellare un ricordo che procura un grande dolore? Mia madre è morta l’anno scorso e ne sento la mancanza, spesso mi sento tanto sola”. Perché il ricordo di una madre che non c’è più, passata la prima fase, non potrebbe regalare pace e gioia? Non è automatico che vada come afferma Greta. Come non è automatico che un lutto sia vissuto troppo a lungo con dolore. La mancanza crea sofferenza quando siamo troppo attaccati a una certa immagine di noi stessi, non dell’altro. È l’io cosciente, la parte superficiale della psiche, che non vuole separarsi da una struttura mentale cui è legato, è questo che fa soffrire. La sofferenza ha proprio lo scopo di sciogliere, nelle lacrime, un legame che, in quella forma è ormai superato e trasformare il ricordo della persona cara in un’immagine capace di curarci e proteggerci. Così le Tradizioni conservavano il ricordo degli antenati: ricordare significa trasformare noi stessi e aprirci al nuovo, non fissarci a un passato che non c’è più.

Più c’è attaccamento, più i ricordi si fanno dolorosi

Pensiamo alla mente dei bambini piccoli. La mamma deve uscire la sera: cosa fa il piccolo? “No mamma! No mamma! No mamma!”. Lui piange, la mamma si sente in colpa. “Vengo anch’io”, “Non puoi”: un inferno. Arriva la nonna, saggia, e dice sottovoce alla figlia: “Dai, vai via, non farti vedere, sparisci”. La mamma esce e dopo un minuto il bambino gioca e ride tranquillo. Eppure è sempre lo stesso. Staccato dal senso di colpa della mamma - che non era amore, ma attaccamento un’immagine unilaterale di sé come “mamma buona”, il piccolo si è finalmente distratto. “Distrarsi” è un potere immenso dell’anima. Solo un’epoca superficiale come la nostra continua a rivangare il passato, in gran parte seguendo una concezione sbagliata della psicologia. Allora, quando arriva un ricordo, il primo errore che non bisogna fare è commentarlo, perché così il ricordo si riempie dell’energia del passato. Mia mamma è morta, mi viene in mente un suo ricordo. Possiamo dirci: “Che ferita, mamma, che dolore, perché mi hai lasciato?”. Oppure dire: “Ecco l’immagine di mia mamma che si deposita dentro di me e io la accolgo senza dirmi niente, e aspetto. Aspetto qualcosa che non so cos’è”. Questo è stare con sé stessi: allora l’immagine che arriva non viene più riempita dal passato, ma diventa un’immagine evolutiva.

La solitudine: un’alleata che fa tramontare i ricordi dolorosi

Tu dici di sentirti sola: ma il destino dell’uomo e della donna è la solitudine. Chi non sa star solo, o chi non lo impara, incontrerà molte sofferenze. La solitudine ti disturba perché non la guardi nel modo giusto. Eppure tutte le sere vai a letto a dormire, nel buio. C’è solitudine più grande di quella? E in quella solitudine, nel Regno della Notte, compare il miracolo dei sogni. Quindi: ci sono compagni di viaggio, immagini, energie che vengono solo dalla solitudine. Non dalla compagnia. Qualcosa da dentro manda la solitudine per farci crescere, per separarci dai bimbi che vivono nell’ombra della mamma, per farci diventare adulti...

L’immagine ti cura

I bambini, ancora, sono maestri della solitudine: possono giocare da soli per ore. E nella solitudine evocano vari personaggi. La principessa, la strega, la fata, il nemico… Tutta la partita è uscire da ciò che chiamiamo reale. “Io sono questo, sono fatto così, con questi genitori, con questa relazione, questa storia, con questi interessi e non cambierà mai niente”. Questo è il reale: un insieme di convinzioni superficiali. Fuori dal “reale” ci sono le immagini: immagino di essere una principessa che incontra un cavaliere. Immagino di incontrare una fata. Immagino un incantesimo. L’immagine sostituisce il “reale” e ti cura. L’immagine che viene da dentro, l’immagine antica. E anche l’immagine delle persone care, depurata dagli attaccamenti dell’Io. Per questo torna il ricordo: per curarti.

Immagina l’animale amico e cambi coscienza e realtà

Nei gruppi di terapia al Centro Riza di Medicina Naturale facciamo spesso un esercizio che consiste nel chiudere gli occhi e immaginare un animale amico e alleato. Provate anche voi: chiudete gli occhi. Immaginate un animale con cui sentite un’affinità, visualizzatelo dentro di voi, dentro i vostri occhi. Trattenete l’immagine, osservate l’animale nel suo ambiente, sentitelo vicino a voi, dentro di voi. Ci vogliono pochi secondi per farlo. E può sembrare una cosa poco importante, invece con questo semplice gesto avete richiamato l’energia animale, che è l’energia più antica che abita il cervello, chiedendole di scendere in campo e trasformare il vostro stato di coscienza. Non ci siete più voi, ci siete voi con un’immagine animale. Il vostro cammino cambia. Come Greta, Come Marco, come Filippo non potete farcela: ma come orso, o come aquila, o come gatto, entrate in rapporto con energie differenti. Comincia un’altra partita. L’immaginario scende in campo e tutto diventa possibile.

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