Ricominciare dopo un addio è sempre possibile, a patto di fare le mosse giuste: senza pensieri o riflessioni inutili, la sofferenza del cuore sfumerà presto all'orizzonte
Buongiorno a tutti, sono Andrea Nervetti, psicologo e psicoterapeuta. Lavoro all’Istituto Riza di medicina psicosomatica di Milano dove insegno presso la scuola di psicoterapia ed esercito la mia attività libero professionale. In questo video voglio parlarvi di uno degli accadimenti di cui mi occupo maggiormente nel mio lavoro: l'abbandono. La fine di una storia d'amore è uno degli eventi che provocano maggiori sofferenze in chi lo subisce e uno dei motivi più frequenti per cui si chiede l'aiuto di uno psicoterapeuta. Quando capita, ci sentiamo smarriti, soli, a volte colpevoli, a volte al contrario pieni di rabbia e di rancore, oppure increduli...
Tutto questo è comprensibile, ma è anche vero che il dolore, in natura, non arriva per durare, ma per rinnovarci. Le lacrime sono come un lavacro, una purga per l’anima, servono a purificarci, a pulirci, arrivano per fare piazza pulita di quello che eravamo, di quelli che eravamo quando accanto a noi c’erano lui o lei, e il loro scopo autentico è quello di rimetterci in carreggiata, di ritornare nel mondo nuovi, ripuliti.
Quando però questo dolore dura mesi, a volte anni, quando diventa cronico, significa che sta accadendo altro, e che la causa profonda del malessere non risiede nell’evento in sé, cioè nell’abbandono, ma in una lotta interiore fra una parte di noi che vorrebbe percorrere le nuove strade che la vita potrebbe offrire e un’altra parte che resiste, che punta i piedi, che non accetta che le cose siano andate come sono andate. Così arrivano le recriminazioni, le insicurezze, la disistima ed è come se precipitassimo in una palude. Un fatto è certo: nessun ragionamento razionale può portarci fuori da questa palude, anzi, i continui pensieri rendono il dolore ancor più insopportabile. Quanto più analizziamo nel dettaglio le cause che avrebbero portato alla fine della relazione, tanto più diventiamo prigionieri di un evento che è già nel passato.
Limitarsi a questo "territorio psichico" significa entrare nel regno delle delusioni, imprigionati dalle accuse reciproche, dai sensi di colpa. Così facendo, il dolore si cronicizza e rischia di trasformarci nella persona abbandonata, con un ulteriore pesante carico di sofferenza. È dunque questa lotta innaturale che fa permanere il malessere, non l’abbandono, che è un evento singolo, è accaduto una volta, è già nel passato.
Per comprendere questo concetto, possiamo pensare alla psiche come a qualcosa di simile a un uovo. Il guscio è la mente razionale, la superficie, legata al tempo, alle esperienze, alle relazioni. Sostare solo nella superficie vuol dire dimenticarci dell’albume e soprattutto del tuorlo, della nostra anima, della quintessenza, della parte più profonda di noi. Questo lato ci rinnova costantemente, così come il corpo si rinnova continuamente, in ogni momento. Il nostro tuorlo è già oltre l’abbandono una volta accaduto, perché sa che se una relazione finisce, vuol dire che quella storia non era più utile alla nostra evoluzione, al nostro cammino, alla nostra fioritura. Come allinearci al nostro tuorlo, alla nostra guida interiore?
Come un serpente che fa la muta liberandosi della pelle vecchia, come il bruco che si abbozzola per preparare il volo della farfalla, così il solo atteggiamento mentale da adottare nei confronti dell’abbandono è la resa, la cedevolezza consapevole. Significa dirsi: le cose stanno così e io non posso nulla, le contemplo senza dirmi niente, ma con occhio aperto. Quando riusciamo a farlo, quando finalmente deponiamo le armi e smettiamo di combattere questa guerra civile che ha come campo di battaglia noi stessi, in poco tempo il dolore cessa e il nostro tuorlo, la nostra essenza può finalmente diventare il vero protagonista della nostra vita e indicarci la via da percorrere.
L’abbandono non è un trauma indelebile, ma una tappa del percorso di un anima in cammino verso la propria individuazione, verso la propria realizzazione, che come direbbe il grande psicoterapeuta Carl Gustav Jung, è l’unica strada che chiunque è chiamato a percorrere. Liberarsi dal dolore dell'abbandono è sempre possibile solo se smettiamo di affrontarlo secondo gli schemi convenzionali con cui siamo abituati a riflettere sulle cose, se ci arrendiamo alla sua presenza, se non tentiamo di mandarlo via con la ragione. Contemplare il dolore significa accelerarne il tramonto e prepararsi alla nuova alba che già ci attende. Grazie dell'ascolto.