"Tutti mi dicono di cambiare, ma non riesco: che faccio?"
Tu | fiducia in se stessi

"Tutti mi dicono di cambiare, ma non riesco: che faccio?"

Nessuno cambia su consiglio altrui, ma se qualcosa da dentro, anche con i disagi, si manifesta per deviarci da una rotta che non fa per noi: cosa fare per capirlo

Sonia scrive alla redazione di Riza Psicosomatica:

"Tutti mi dicono che dovrei cambiare, modificare il mio atteggiamento mentale. Non riesco a trovare lavoro perché a quasi 36 anni non sono riuscita a diventare attrice come avrei voluto; 3 anni fa sono ritornata nel mio paese ad abitare con i miei, adattandomi a occupazioni normali. Sono bloccata: provo ribrezzo per ogni lavoro mediocre, una sofferenza tale che fa innescare in me importanti attacchi di panico che mi fanno lasciare ogni impiego. Sono stata da uno psicologo ma mi riempie di consigli che mi fanno sentire ancora più inadeguata perché non riesco a mettere in pratica nulla."

Tutti ti dicono che dovresti cambiare, Sonia. Ma tu, che cosa ti dici? Quel che affermano gli altri in verità non conta, se non superficialmente. Infatti i consigli dello psicologo, che in apparenza dovrebbero essere importanti, non contano. Ai fini di un vero cambiamento, se cambiamento dev'esserci, ciò che serve è la percezione interiore, non le parole degli altri. Rimpiangi di non essere diventata un'attrice, ma è una Sonia di ieri, quella: sono tre anni che sei tornata e questa è un'altra vita. Abitare nel rimpianto di quel che sarebbe potuto accadere rischia di diventare un alibi, un rifugio paradossale per non dare una direzione alla nostra vita di oggi, per restare adolescenti a vita.

Non lo affermo perché sei tornata a vivere dai tuoi, le contingenze della vita sono ingiudicabili. Lo affermo perché il ribrezzo e il panico di cui dici di soffrire dicono molto di te, ma non nel senso che forse credi tu. Quel ribrezzo che in apparenza provi per ogni lavoro "mediocre" (come se esistessero), in realtà parla di te, di una parte di te che ti disgusta e che vorresti scomparisse, senza successo. Avendo idealizzato forse in modo eccessivo l'idea della carriera artistica (anche questo è un lavoro), ora ti sembra che un lavoro normale sia degno di vergogna; ma forse, a uno sguardo più profondo ciò che temi è la normalità, la quotidianità, la banalità, come se chiunque, attori compresi, non avesse le sue normalità, banalità... Ma il panico?

Non è il panico il tuo problema

Beh, non credo proprio sia lui a farti abbandonare ogni lavoro che trovi. Piuttosto, tu utilizzi l'esperienza del panico come viatico per affermare che per te sia impossibile eseguire i compiti richiesti e che quindi l'esperienza professionale debba chiudersi. Il panico arriva perché quella dell'aspirante attrice delusa è ormai una maschera che indossi rifiutando sdegnata ogni occupazione "mediocre" come una famosa e altezzosa attrice rifiuterebbe le parti indegne della sua fama. Il panico, con la sua forza distruttrice, te la vuole levare: tu ora sei dove sei e devi star bene dove sei, non dove vorresti essere e meno ancora dove sei stata e non sei più. Non si tratta di accettare qualunque occupazione, ma di orientare lo sguardo da fuori a dentro; nessuna evoluzione può avvenire senza questo passo.

Percepisci tutto quel che provi

C'è qualcosa che potresti fare, invece: percepire il ribrezzo, accogliere il panico, come fossero messaggeri dall'interno. Il ribrezzo è verso una parte di Sonia che ha diritto di cittadinanza e che lo rivendica proprio attraverso il disgusto, che tu usi al contrario per tenere in vita l'idea fasulla che tu non possa far altro nella vita tranne quel che ti è sfuggito. Quanto più terrai in vita questo sogno di ieri, tanto più soffrirai e perderai giorni, settimane, mesi. Percepisci invece con dolcezza quella paura, quello schifo, quella frustrazione, senza occuparti di quel che apparentemente le causa. Stai con i tuoi malesseri senza dirti cosa dovresti fare, senza lamentarti e senza andare dallo psicologo consigliere: ti serve la psicoterapia per entrare nel regno delle immagini eterne dell'inconscio, non nel vicolo cieco dei saggi consigli di chi la sa lunga.

Dai una forma al tuo ribrezzo

Le immagini possono darti un orientamento. Ogni tanto, durante la giornata, anche quando non lo provi, cerca quel ribrezzo o ricorda quel panico. Percepiscilo, e ad occhi chiusi, dagli una forma, quella che viene spontanea andrà bene. Poi, contempla bene quel che appare agli occhi della tua immaginazione. Stai ad osservare e lascia che la tua fantasia scelga cosa far fare a quell'immagine, a quella donna o a quell'animale o a qualunque forma tu abbia scelto. Come in un sogno, puoi tutto. Fallo diventare un'abitudine, un piccolo rituale segreto, un viaggio interiore, lontano dai pensieri consueti e sempre uguali. Secondo James Hillman, il grande psicoterapeuta allievo di Jung, le immagini interiori sono i mattoni dell'inconscio, ponti fra la mente profonda e quella superficiale. Nella prima alberga la vera energia dell'essere umano, la sua quintessenza, quel che gli antichi greci chiamavano il daimon, la personalità autentica. Solo guardando in questa direzione potrai trovare dentro di te le risorse e le qualità che certamente come tutti hai e che ora non vedi; non rimpiangendo, non lamentandoti, non rifiutandoti caparbiamente di scendere di nuovo in campo e metterti in gioco. Di qualunque partita si tratti, riguarda la tua vita.

andrea nervetti
Psicologo e psicoterapeuta, collabora dal 2001 con l’Istituto Riza di Medicina psicosomatica di Milano dove esercita la libera professione. Vice Direttore e Docente presso la Scuola di specializzazione in Psicoterapia a indirizzo psicosomatico dell’Istituto Riza. Membro del Consiglio direttivo della SIMP (Società italiana di medicina psicosomatica), scrive per le riviste Riza Psicosomatica, Antiage ed è responsabile del sito www.riza.it. Svolge anche attività libero professionale presso l'Istituto stesso e a distanza via internet. La scheda completa dell'autore
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