Raffaele Morelli: così un abbandono ti riporta alla vita
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Raffaele Morelli: così un abbandono ti riporta alla vita

Quando non vai d’accordo con un figlio e lui si allontana pensi che la colpa sia sua, oppure ti accusi di non avergli dato i giusti insegnamenti. Invece quel conflitto è il segnale che in te c’è una persona nuova che deve nascere, che devi contattare nuovi modi di essere. Quando lo riconosci in te, migliora anche il rapporto con lui

Si è creata una maledizione collettiva per cui la prima cosa che facciamo quando ci arriva una ferita è chiederci dove abbiamo sbagliato. Non crediamo che le cose accadano indipendentemente dal nostro intervento, dal nostro Io.

«Da mesi mia figlia non vuole più parlare con me, non mi rivolge più la parola. Forse non ha accettato la separazione da mia moglie, anche se ormai è grande, ha 28 anni. Perché fa così? Forse le discussioni sul suo lavoro, sull’università non terminata, sul fatto che io mi sia messo con un’altra hanno creato la rottura. Sono pieno di sensi di colpa e provo un dolore immenso».

Chi mi scrive è Antonio, 56 anni. Mi sono capitate diverse storie simili. Tutte si basano sempre sull’autocritica e sull’intenzione di rimettere le cose a posto, in questo caso di ritrovare un rapporto con la figlia che non vuole più rivedere il papà. Perché pensiamo di essere noi i protagonisti? Perché non credere che magari la ragazza ha bisogno di stare lontana dal padre perché deve incontrare la sua indipendenza? Oppure semplicemente è molto infantile (come spesso accade) per cui il papà che se ne è andato non potrà più accudirla, come faceva da piccola. A volte a 28 anni non riusciamo a liberarci dal mondo infantile. Le tragedie familiari vengono per farci maturare, non per perpetrare i bambini che si attaccano alla mamma contro il papà, o viceversa. L’altra domanda è: che cosa può insegnare ad Antonio l’addio di sua figlia? Circa cinque anni fa, a un altro uomo che aveva un problema simile (quando telefonava alla figlia lei riattaccava il telefono), ho consigliato di arrendersi, di accettare di perderla… Con due accorgimenti però. Il primo era di immaginarla con affetto, di visualizzare il suo volto a occhi chiusi nell’interiorità, senza però provare tristezza. Come se sua figlia fosse un’icona, un’immagine fuori dal tempo da ritrovare dentro di sé. Ho consigliato di immaginare il volto della ragazza per qualche secondo, più volte nella giornata. L’altro accorgimento era di inviarle di tanto in tanto sms, molto brevi, con scritto:

«Anche se non ci vediamo, io ti voglio bene, ti penso, mi manchi».

Sms che erano le verità affettive che lo abitavano.

raffaele morelli

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Un addio da contemplare

Questo uomo si era offeso al mio consiglio: era venuto a uno dei miei gruppi del giovedì e mi aveva accusato di essere insensibile, che il mio modo di vedere poteva provocare la perdita della figlia, cosa che peraltro stava avvenendo già da alcuni anni. Non aveva capito che la cosa più importante che dobbiamo fare quando c’è un disagio, quando qualcosa ci ferisce, è guardare il dolore, sentire la ferita, ma non fare sforzi per rimettere le cose a posto. Contemplare l’addio, l’abbandono, guardarlo con l’occhio interiore del distacco, è il vero farmaco dell’anima. Solo guardandoli, senza cercare di risolverli, i disagi se ne vanno spontaneamente. In quanto tempo? Non lo so, perché l’anima vive, come i sogni, fuori dal tempo. Questo era il modo di vedere le cose di Plotino, il grande filosofo egiziano. Contemplare è guardare con l’occhio perso, libero dall’identità, vuoto, senza progetti. È un modo caro ai Taoisti che sostenevano che le cose si mettono a posto solo se smettiamo di lottare per risolverle. Questo stato interiore è l’inazione, meglio sarebbe chiamarlo l’azione nitida, che produce i fatti senza i pensieri, senza i ragionamenti, come il seme si trasforma in germoglio, in fiore e in frutto spontaneamente. A quell’uomo io consigliavo lo sguardo puro, senza alcun agire, dicendosi semplicemente: “sia quel che sia”. È inutile pensare a cosa hai sbagliato… È utile invece guardare il dolore che si prova quando veniamo lasciati, come accade se una figlia non ci vuole più vedere. È passato del tempo… Non mi ha sorpreso, a distanza di due anni, ricevere la lettera di quell’uomo che mi ha scritto per dirmi che sua figlia era tornata, all’improvviso, ma «il mio atteggiamento di scuse eccessive, le continue richieste di perdono l’hanno fatta scappare di nuovo».

È sempre il primo incontro

Nella nostra idea di rimettere le cose a posto, in realtà, cerchiamo di rivivere la scena del rapporto perfetto, del “come si dovrebbe stare insieme felici”, ma i ricordi del passato, l’idea di padre che ho in mente è il vero nemico. Chiedere perdono per gli errori fatti è una sciocchezza. Sua figlia è tornata per una nuova relazione, per incontrare un nuovo padre, un nuovo modo di stare insieme: noi siamo sempre nuovi. Lui voleva rivedere sua figlia o semplicemente voleva tacitare il giudizio della gente che gli dava del padre spregevole perché l’aveva perduta? Voleva rivederla per dare i soliti consigli autoritari, come quando vivevano insieme? Sapete quando è tornata davvero sua figlia? Quando lui le ha scritto che voleva farle vedere nuovi progetti, farle incontrare un architetto che poteva essere utile per il suo lavoro. Questo signore mi ha telefonato e mi ha chiesto: «Cosa faccio adesso che torna?». La tratti come una figlia che incontra per la prima volta. Si faccia raccontare le cose nuove che fa, cose che lei non conosce perché non la vede da anni. Non le parli più del passato, della sua ex moglie, di quando stavate insieme, della sua nuova relazione. Da allora si frequentano assiduamente…

Impara ad ascoltare

Noi non abbiamo mai un problema con un figlio: semplicemente quello che chiamiamo “il problema” è un richiamo del sé, nei confronti del nostro mondo interno. E se la figlia che ti rifiuta fosse la tua bambina interiore, trascurata, schiacciata da un atteggiamento mentale troppo maschile, troppo duro con te stesso? Questa era stata la prima cosa che mi aveva colpito di quel signore quando era venuto al gruppo: una rigidità, una durezza, una staticità, un’inflessibilità che non lasciava scampo. Sua figlia, staccandosi da lui, lo costringeva a ritrovare la sua femminilità, che se ne stava andando da lui, portandolo verso il peggior nemico dell’anima: l’aridità. Quando ha cambiato l’atteggiamento mentale, tutto si è rimesso a posto. È diventato un ascoltatore di sua figlia, senza il minimo desiderio di cambiarla. Cosa mai accaduta prima. A volte il femminile, che è dentro ogni uomo, viene ritrovato quando si viene lasciati. Così i disagi ci insegnano a vivere.

Noi non abbiamo mai un problema con un figlio: semplicemente quello che chiamiamo “il problema” è un richiamo del sé, nei confronti del nostro mondo interno

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raffaele morelli
Psichiatra e Psicoterapeuta. Fondatore e Presidente dell’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, Direttore responsabile delle riviste Riza Psicosomatica, Dimagrire, MenteCorpo.
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