Tuo figlio soffre di ansia? Aiutalo...da lontano!
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Tuo figlio soffre di ansia? Aiutalo...da lontano!

Quando l’eccesso di preoccupazioni verso i figli prosegue oltre il tempo massimo consentito a farne le spese sono proprio loro, con l'ansia: come cambiar rotta

Si tratta di una conseguenza paradossale, considerato che si tratta delle persone che non vorremmo mai veder soffrire, eppure molti genitori non si accorgono che per crescere figli forti e capaci, a un cero punto, è indispensabile lasciarli andare. Un esempio concreto è quello di Adriana, madre di uno studemte universitario di 27 anni, che scrive a Riza psicosomatica per aiutare il proprio figlio a venire fuori da una serie di problemi fisici che lo tormentano da oltre due anni e gli stanno causando forti stati di ansia. Ecco il suo racconto “Probabilmente il malessere era presente già prima che me ne rendessi conto. Un intervento alle gambe è stato l'inizio di un forte stress, solo ora mi chiedo quanto possa essere stato difficile dire di no agli amici per una partita di pallone, perché non riusciva più a correre e via via risultava sempre più doloroso anche il solo camminare a passo svelto! Fortunatamente dopo visite, esami e sedute fisiatriche le gambe hanno ripreso a funzionare normalmente. Dopo pochi mesi, però, è iniziato un altro calvario: la celiachia, dopo un ingrassamento di ben 14 chili. Mi rendo conto che rappresenta una limitazione alla vita sociale, specie nei primi periodi della consapevolezza della malattia. Ma, purtroppo, i problemi non sono finiti qui. Mio figlio sta bene quando è in casa, ma, appena si prepara per uscire, affiorano problemi intestinali e comincia l'andirivieni con il bagno. Al stessa cosa accade se deve uscire con una ragazza, con gli amici, se deve fare un esame o un colloquio di lavoro: cade vittima dell'ansia. Da circa due mesi sta prendendo poche gocce di Lexotan prima di uscire di casa, ma le cose non sembrano migliorare. Come possiamo aiutarlo in famiglia? Sarebbe opportuno un percorso di psicoterapia?”

Spezza la connivenza per dire addio ai disturbi psicosomatici

Adriana è convinta di dover risolvere in prima persona i problemi di un uomo 27enne quando: al contrario, quell'ansia sembra il frutto di una "connivenza" patologica tra madre e figlio. Da una parte, il suo primogenito presenta un certo timore nell’affacciarsi alla vita con coraggio e autonomia; alla sua età, è ancora all’università e lamenta problemi intestinali chiaramente psicosomatici ogni volta che si trova a misurarsi con un compito adulto che mette alla prova la sua persona e le sue abilità. Dall’altra, Adriana usa un tono eccessivamente apprensivo per citare le difficoltà del figlio nel dover rinunciare a una partita di pallone. Non si tratta di un bimbo di 6-7 anni, ma di un adulto, perfettamente in grado di superare la frustrazione di un contrattempo causato da un temporaneo disturbo fisico. Stesso discorso per la celiachia, certamente un limite cui prestare attenzione, ma affrontabilissimo.

Smetti di intervenire sempre

Salta subito all’occhio il legame tra disturbi del figlio e il rapporto eccessivamente vincolante con la madre. I disturbi agli arti inferiori, infatti, parlano della difficoltà di andare avanti, ossia di stare in piedi da soli e di procedere autonomamente sulle proprie gambe. Allo stesso modo, il fatto che il ragazzo abbia preso 14 chili prima di scoprire di essere celiaco ci dice qualcosa sul suo stato psicofisico. Il sovrappeso ha spesso a che fare con il tentativo di mettere una distanza tra noi e chi ci sta vicino, a causa di un atteggiamento altrui vissuto come eccessivamente violento, controllante o soffocante. In ultimo, i problemi intestinali nell’affrontare esami o colloqui di lavoro ( una chiara somatizzazione d'ansia) denunciano il terrore di diventare grandi e assumersi le proprie responsabilità. Più ci ostiniamo a trattare figli adulti come fossero ancora bambini incapaci e bisognosi più li condanniamo ad aderire a quell’immagine che abbiamo scelto per loro. Si tratta di un classico esempio di profezia che si autoavvera, purtroppo, in negativo. La verità è che quando i figli crescono bisogna imparare a farsi da parte. Se siamo stati capaci di offrire loro adeguati strumenti emotivi, intellettuali e materiali per muoversi nel mondo con coscienza e competenza non dobbiamo fare altro che stare a guardare. Non significa mostrare disinteresse ma concedere ai propri ragazzi l’opportunità di sperimentare, facendo autonomamente le proprie scelte ed imparando dai propri errori. Solo in questo modo, li aiuteremo a crescere e a trovare liberamente la propria strada.

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