Solo quando impariamo a stare con noi stessi possiamo comprendere quello che ci rende felici.
Vi parlo del nuovo numero di AntiAge dedicato alla menopausa, un periodo molto particolare della vita di una donna.
Bisogna prima di tutto chiarire bene una cosa: la menopausa non è una malattia, come spesso viene presentata dai media, quasi che si debba intervenire per limitare i danni. Tutt’altro: la menopausa è una fase naturale della vita in cui avviene l'incontro con un lato di sé molto importante, cioè con una sessualità che si separa dalla “via gravidica”, dalla possibilità di procreare.
In molte tradizioni antiche proprio questa fase era considerata l’età dell’oro della donna, e le vampate che la caratterizzano erano spiegate con l’emergere quasi inarrestabile di quel fuoco sessuale finalmente liberato dal concepimento. Anche noi possiamo trattare allora la menopausa come una grande occasione nella quale incontrare un nuovo percorso.
Molte donne invece confondono la maturità con la solitudine e per questo la temono: vedere i figli che crescono e si allontanano, e magari separarsi dal compagno o dal marito, come sempre più spesso accade secondo i dati dei divorzi e delle separazioni, è visto come una condanna all’infelicità. «Io sono divorziata» - mi dice Elena - «non ho figli, non ho una famiglia, come posso essere felice?». Si è affermata una concezione malata secondo la quale la solitudine è un nemico. E invece stare soli è un dono. La “mente bambina”, il lato più creativo presente in ognuno di noi a qualsiasi età, è abituata a giocare da sola e lo fa disegnando, scrivendo, costruendo, travestendosi, fantasticando. La solitudine consente di portare alla luce doti inimmaginabili. «Oggi mi piacerebbe fare una cosa nuova e farla»: è questa la frase da dire a se stesse ogni mattina.
Su questo numero di AntiAge parlo anche di Elisa che, dopo la perdita del marito a 60 anni, diceva: «Piango tutto il tempo, sarò per sempre una donna infelice». Invece ha seguito un mio consiglio: riportare in vita le proprie le passioni perdute. Ha iniziato a seguire un corso di canto, la sua passione da ragazza. E tornando a casa la sera non pensava più al futuro infelice, ma a come avrebbe cantato meglio il giorno dopo. E diceva a se stessa: «Tu non sei solo quella a cui è morto il marito: sei quella che canta». Solo una visione della mente a compartimenti stagni pensa che a 50, a 60, a 70 anni non si possano fare cose nuove, fuori dagli standard.
Anche Amelia racconta una storia simile:
«Io avevo una paura maledetta di stare sola. Per questo andavo alle serate con i miei amici. Ma quando ero lì non vedevo l’ora di venire via. E allora ho cominciato a capire che nella solitudine potevo parlare con me, trattarmi come piaceva a me».
Accettando la solitudine, Amelia ha incontrato nuove persone, ma stavolta senza mai perdere di vista ciò che davvero la fa stare bene. La solitudine è il modo migliore di incontrare se stessi. Le relazioni, a tutte le età, devono procurare piacere, non devono essere occasioni per finire sottomessi al partner o ai desideri degli altri.