VIDEO Per uscire dai traumi ci vuole lo sguardo che cura

Non guardare il dolore, ma ciò che in te sta fiorendo

Cos’è la psiche, come dobbiamo pensarla? La psiche va concepita più di tutto come uno sguardo. Se volete avere un’idea di come funziona, pensatela come un occhio che guarda.

Ecco allora che diventa fondamentale il modo in cui ci guardiamo. Già: come ci guardiamo? Come mi guardo dentro? Cosa c’è dentro di me quando mi guardo? A volte mi sento dire dai pazienti:

«Sa dottore, questo è un periodo difficile»; oppure: «Eh, dopo quello che mi  successo, come potrei essere felice?»; o ancora: «Di quel trauma non mi sono mai liberato».

Quando sento queste frasi io penso che non stiamo davvero guardando.

Se vogliamo star bene, è fondamentale che lo sguardo che utilizziamo sia appropriato. E com’è uno sguardo appropriato? È molto simile a quello dei bambini, che sono sempre pronti alle azioni nuove.

Un errore che si fa spesso in psicoterapia, invece, è continuare a parlare di ciò che è accaduto alla persona: non ci si accorge che così le parole ricreano il trauma! I traumi hanno bisogno di silenzio, non di parole. E hanno bisogno di sguardo.

Com’è allora uno sguardo che cura? È lo sguardo che non si sofferma su ciò che crea il dolore, è uno sguardo che non si occupa delle cause, è uno sguardo che non corregge ciò che non va bene di me, che non mi dice che devo diventare più forte; è uno sguardo che percepisce il disagio e non ha niente da dire, ma si sposta su altre immagini. È uno sguardo che, prima di tutto, cerca il vuoto.

Provate, quando state male, a mettere vicino al vostro dolore il vuoto.

«Sì, io sono quella persona che soffre perché le è successo quella cosa brutta, sento il dolore, mi lascio invadere dal dolore; ma contemporaneamente, un po’ più in là, dentro di me, c’è uno spazio buio, vuoto, c’è una vacuità».

È un’esercizio molto semplice: ogni volta che arriva un dolore, anziché cercare la causa, cercate uno spazio vuoto dentro di voi. Ecco: questo è lo sguardo contemplativo, lo sguardo panoramico. Non vedo solo la singola pianta, ma tutta la foresta, tutto l’insieme.

Lo sguardo contemplativo, dell’insieme, è il più potente farmaco per il cervello, un farmaco che si basa su una percezione semplice: io non sono soltanto la cosa che mi è successa, ma ci sono tanti mondi contemporaneamente vivi dentro di me.

Ad esempio io sono anche il bambino che gioca: la nostra infanzia infatti è rimasta intatta dentro di noi; sono la persona che si innamora, che desidera, che ha passioni; sono la persona che ha un modo di far l’amore diverso da tutti gli altri, sono la persona che indossa quel vestito che gli corrisponde e non un altro, che ama quel colori e non altri…

Questo sguardo d’insieme, che vede la contemporaneità di tutte le presenze, è l’approccio da usare tutte le volte che ci viene da dire: «Così io non vado bene». Per uscire da questa mentalità ristretta la psiche ha bisogno di uno sguardo differente. E quando cambiamo lo sguardo tutto cambia, perché usciamo dai condizionamenti e dalle convenzioni.

«Eh dottore, mi è capitata questa cosa e non potrò più essere felice». Non è vero! Gli alchimisti ci hanno insegnato che proprio mentre io sto soffrendo, qualcosa dentro di me sta fiorendo.

Bachelard diceva: non c’è tempesta, non c’è fulmine che impedisca alla pianta di fare i suoi fiori. Mentre io guardo il dolore che provo senza giudicarlo né commentarlo, ci sono tantissime azioni di me che non vedo, azioni di fioritura, di gioia, azioni che mi spostano sul futuro.

Portarle in primo piano: è questo lo sguardo che cura.

TAG
VMRIZANATIVESPONSORED
APPROFONDISCI
Riza Psicosomatica
Riza Psicosomatica

È il mensile di psicologia che aiuta a occuparsi di sé per vivere bene e migliorare la qualità delle nostre relazioni.

VIDEO
VIDEO Tornare a casa
VMRIZANATIVESPONSORED
AGGIUNGI UN COMMENTO
Iscriviti alla newsletter RIZA e ricevi notizie e suggerimenti per prenderti cura di te!