Raffaele Morelli: Segui il disagio, arrivi alla tua casa
L'aiuto pratico

Raffaele Morelli: Segui il disagio, arrivi alla tua casa

I disagi interiori non sono sfortune, ma sassolini che ti indicano la strada verso la tua dimora

Affrontare i disagi con la forza, cercare di risolverli con la mente è la cosa più dannosa che possiamo fare a noi stessi. Il disagio non ha bisogno dei tuoi pensieri, dei tuoi ragionamenti e ancora meno dei tuoi commenti. L’unica cosa che conta è creare un “campo di estraneità” nei confronti del dolore che proviamo. Constatare la sofferenza che si prova e andare “Altrove”, chiudere gli occhi e cercare un panorama da cui guardare dall’alto le colline, i fiori, le piante, l’erba, gli animali che passeggiano, gli uccelli che volano. Ognuno ha il suo panorama da trovare...

Sassolini sulla strada

La distrazione dal disagio è un farmaco perché i dolori dell’anima, della psiche, vengono dal Sé, cioè da quel profondo e invisibile stato di coscienza che conduce e veglia sul nostro destino. Così scrive Antonella:

«Caro dottore, da tempo metto in pratica quello che leggo nei suoi libri ed è qualcosa di straordinario perché significa vedere le cose che mi capitano non come delle sfortune che mi remano contro, bensì come prove che la vita mi pone davanti per poter diventare quello che davvero sono, per diventare la mia pianta con i miei frutti. Per esempio, mi capita di avere delusioni in amicizia e fino a un mese fa ero arrivata alla conclusione di essere io quella sbagliata, magari di essere poco interessante e di aver avuto delle reazioni schiette e troppo aggressive, in alcune circostanze. Ma poi mi sono detta: “Aspetta, ma questo è l’occhio omologato, è lui che la vede in questo modo”. L’occhio del Sé invece cosa mi direbbe? Mi direbbe che tutto ciò che capita ha un suo perché molto più profondo, magari quelle non sono le persone che il mio Sé voleva accanto, magari avevo riposto in loro troppe aspettative, magari vedevo quei rapporti come un “bisogno” e non come semplice condivisione di una parte del cammino! Perché dovrei starci male? È un sassolino come quello di Pollicino che mi sta indicando una nuova strada, la mia strada. In un libro, Osho dice che le cose che noi chiamiamo disgrazie o sfortune, sono delle sottili necessità dell’anima. Prima piangevo perché mi ripetevo: “Non ho mai la mia tribù di riferimento, mi ritrovo a fare sempre le cose da sola”. Ma sto capendo che magari la mia anima necessita della solitudine, vuole fare qualcosa di me che io ancora non so e non posso indagare con la mente. Ho imparato a vedere le cose che mi capitano per quelle che sono, a vederle come dei sassolini che mi faranno raggiungere l’unica dimora possibile, che è la mia dimora, diversa da tutte le altre».

raffaele morelli

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Diventa quello che sei

Non devo conoscermi, non devo capire, devo semplicemente guardare il disagio: lui è già la soluzione. Cercare di mettere a posto le cose, chiedere il parere agli amici, continuare a rimuginare per trovare la strada per uscirne, non fa che cronicizzare il dolore. Come spiega bene Antonella, ognuno di noi è in viaggio e i dolori esistenziali non vengono perché siamo sbagliati, ma semplicemente per correggere la strada che stiamo percorrendo, perché non è la nostra. Ecco perché bisogna affidarsi al dolore, percepirlo, non combatterlo, guardandolo mentre siamo Altrove.

L’esercizio del panorama, di cui dicevo sopra, è una tecnica che usavano i filosofi greci. Pierre Hadot, che li ha studiati bene, racconta che i saggi salivano sulle colline per guardare il mondo dall’alto, dove le cose si rimpiccioliscono, dove si perde di vista il dettaglio e si vede l’insieme. Si erano accorti che, facendo questo esercizio, il disagio sfumava: quella che chiamavano la causa della loro sofferenza era semplicemente un’invenzione della mente.

Oggi i nostri dolori diventano cronici perché siamo immersi in una realtà cerebrale, che ragiona, pensa e rimugina su ogni disagio che arriva. Anziché viverlo come una liberazione dal pensiero quotidiano, dal pensiero comune, lo prendiamo come una verità definitiva su noi stessi e finiamo per vederci sbagliati! Poi comincia la corsa agli psicofarmaci per combattere l’ansia e il panico. Invece bisogna accoglierli ogni giorno di più perché ci stanno liberando dalla nostra mente convenzionale, che vuole portarci a essere come tutti gli altri.

Ti cambia la vita sapere che l’ansia arriva non per le cose che ti sono capitate, ma per portarti ad aprire le porte a capacità, talenti, atteggiamenti mentali, passioni, giochi, desideri che hai allontanato dal tuo Io e che “pulsano” sotto forma di disturbi per essere riconosciuti. Spesso sogniamo una vita tranquilla, con il mare calmo, senza onde. Ma così si spegne il viaggio, la metamorfosi, il divenire e soprattutto finiamo per ignorare il nostro destino, che ha bisogno del dolore per rivitalizzarsi e non della calma piatta.

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Preoccupati se tutto è perfetto

Così mi scrive Michele:

«Mi chiamo Michele, sono un ragazzo di 30 anni che fino a circa un anno fa conduceva una vita fantastica... Non mi mancava nulla. Poi sono arrivati il panico e l’ansia, come sconosciuti che mi hanno colpito in un giorno normalissimo alle spalle, prendendosi poco a poco il mio tempo e le mie giornate. Ho passato momenti difficili e impegnativi, con la sensazione di vivere ogni giorno senza certezze sul domani e con il presentimento di morire. Da circa un mese però ho iniziato a seguirla. Sto raccogliendo i suoi consigli, ho già letto due dei suoi libri “Venirne Fuori” e “Vincere Il Panico”. Non ho mai assunto medicinali, né ho altri vizi. Ma ho sempre cercato di controllare tutto tentando di mandar via il disagio. Ma da quello che sto capendo grazie a lei, è un grande errore. Le scrivo per farmi consigliare da lei su come riuscire a vincere il panico»

Non c’è da vincere, caro Michele, ma da farsi condurre giorno dopo giorno dai disagi e contemplarli senza il desiderio di allontanarli. Il Sé detesta la calma piatta, che è sempre figlia dell’omologazione. Quando vediamo intorno a noi persone artificiali sentiamo fastidio, perché sappiamo che sono finte. Non vogliamo diventare così. Pierre Hadot ricordava, con Plotino, che ciascuno di noi deve scolpire la sua statua. Quando lo dimentichiamo, abbagliati dalle sirene e dalle illusioni, il Sé ci manda il disagio. Ci sta semplicemente avvisando che abbiamo perso la nostra Immagine Innata.

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raffaele morelli
Psichiatra e Psicoterapeuta. Fondatore e Presidente dell’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, Direttore responsabile delle riviste Riza Psicosomatica, Dimagrire, MenteCorpo.
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