Contemplare è allargare lo sguardo. È dirsi: se un’emozione si affaccia dentro di me, da un luogo sconosciuto, allora è una forza, un’energia che serve alla mia fioritura
Annalisa mi domanda se ho imparato a stare con me stesso, se ci sto bene o se vi sono demoni che mi tormentano, pensieri che mi disturbano, paure che mi assalgono. In pratica Annalisa vuole sapere se sono sulla via della Saggezza, se sono con me stesso uguale a quello che dà consigli a destra e a manca, sui giornali, in TV, alla radio. Se c’è una coerenza tra le cose che dico, che scrivo e il mio stare dentro me stesso.
È una bella domanda. Forse vale la pena precisare alcune cose sulle “porte” dell’anima, su come entrarci e… come viverci dentro. Non aspiro a dominarmi. Non ho una mente costruita sul domarsi, sul diventare migliore, più buono. Non ho una teoria che mi sostiene: la via che seguo è molto pratica. Arriva una tristezza, una paura, un abbandono, un addio, un tradimento, un pensiero invasivo, un attacco di rabbia? Vengono a trovarmi l’invidia, la gelosia, l’avidità? Io non mi dico se sono giusto o sbagliato, io le guardo posarsi dentro di me.
Ragiono come Kafka: «Non aspiro a dominarmi. Dominarsi significa voler intervenire in un punto casuale delle infinite irradiazioni della mia esistenza spirituale» (Franz Kafka, Aforismi di Zürau, Adelphi, p. 31). L’invidia, la gioia, la paura, la tranquillità vengono a trovarmi a mia insaputa e ogni volta che si presentano io le accolgo come energie, come onde del mare della vita, che si abbeverano alla mia fonte.
Non guardo la gelosia, la contemplo… Così l’ira, la possessività, l’accidia. Queste onde formano un complesso caleidoscopio che si presenta al mio sguardo interiore. Per essere visto, non per essere domato, dominato o giudicato.
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Vede, cara Annalisa, la Saggezza consiste prima di tutto e più di tutto nel sapere che “i peccati” sono forze costitutive, sono i mattoni del nostro essere. Se si comprende questo arrivano la pace, la beatitudine, la forza di volontà e arrivano le azioni nitide, spontanee, che sono le uniche che contano, come quelle di una pianta che mette i suoi rami. Ognuno ha il suo modo di essere nel mondo.
Le dico ancora con Kafka: «[…] contemplo ammirato l’immane complesso» (Franz Kafka, ibid., p.31), chi sono io per dire che cosa va bene o che cosa è sbagliato dentro di me? Chi sono io per correggere le emozioni che non piacciono ai miei schemi mentali, schemi collettivi del branco, che si sono depositati dentro di me?
Contemplare non è guardare. È allargare lo sguardo. È dirsi: se l’invidia viene da dentro di me, da un luogo sconosciuto, allora è una forza, un’energia che serve alla mia evoluzione. «Sì, sono invidioso, sì proprio io, sì sono io e non posso farci niente, largo all’invidia». Non ho opinioni sul male. Queste parole sono quelle da dirsi: rompono il modello di perfezione che ognuno di noi ha nella testa e che è il vero nemico della Saggezza.
Naturalmente occorre sapere che, se l’invidia non viene contemplata, ma rifiutata, ritornerà sempre più forte, oppure si nasconderà nei recessi più profondi dell’anima e del corpo. I peccati che rimuoviamo si trasformano sempre in malattia. Bisogna guardare l’invidia quando arriva: quella di oggi pomeriggio non ha niente a che vedere con quella dell’altro ieri. L’anima non conosce il tempo, vive solo nell’adesso.
Così la vera Saggezza muta come le piante che mettono i boccioli, poi i fiori, poi i frutti, poi… Occorre sapere che l’idea permanente che ho di me, del mio Io è la vera grande illusione. Contemplare è guardare senza l’oggetto. Non sono invidioso di qualcuno, come credo a prima vista. Non sono invidioso di Carlo, che è più bravo di me sul lavoro: questo è il guardare e il pensare comune. È l’invidia che si deposita dentro il mio sguardo.
Io mi arrendo, la accolgo e la guardo come si guarda un panorama, dove i confini si perdono. Così l’invidia diventa infinita e divina… È l’invidia del mondo, degli Dei, che mi sta visitando. Contemplare i demoni è forse l’atto più spirituale che esista. Kafka lo sapeva.
E allora? Se provo a trattare i peccati come onde dell’Infinito, mi accorgo che in ogni istante sono collegato alle onde del Tutto. Questa è la magia, per la quale vale la pena di fare un lavoro come il mio. È possibile solo se si ha cura dei demoni come di tesori.
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