Raffaele Morelli: Come affrontare i momenti difficili
L'aiuto pratico

Raffaele Morelli: Come affrontare i momenti difficili

Il segreto per superare i momenti difficili è accogliere: ostinarsi produce solo danni. Affidarsi alla vita è la vera medicina dell’anima

Che cosa bisogna fare quando si soffre? La cosa più importante è arrendersi. "Non posso farci niente": ecco le parole chiave da dirsi. Quando qualcuno sta male, o è depresso, o soffre di ansia e di attacchi di panico, il consiglio che viene dato, molte volte anche da professionisti incompetenti, è: "Reagisca! Deve reagire, uscire, non stare fermo". Sono parole che chissà quante volte abbiamo sentito, quando eravamo giù. Io penso esattamente il contrario: i disagi vengono dal profondo per cambiare il nostro atteggiamento mentale. Accoglierli, senza interferire, ci porta a realizzare le nostre metamorfosi, a diventare ciò che siamo nell’inconscio e che spesso non vediamo.

raffaele morelli

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Un padre immaginario

Jung raccomandava spesso di non interferire con quello che accadeva ai pazienti. Non interferire significa chiedere la soluzione a un’energia misteriosa, che non vediamo, ma che spesso si manifesta nei sintomi che ci assalgono. Sentite cosa mi scrive Anna Paola:

«Mi chiamo Anna Paola, ho 45 anni e non so chi sia mio padre. Cresciuta con mamma, nonna e due zii materni, ostinatamente votati al silenzio: nessuno mi ha mai parlato di “quell’uomo”. Ho chiesto da sempre, sia verbalmente che per iscritto. Fumata nera. Cresco e con me cresce un disagio, un’inquietudine, una sensazione di instabilità che mi rendono rabbiosa: problemi a scuola, con amici, parenti, uomini. Non sono scampata ai luoghi comuni perpetui: “È cresciuta senza padre, ecco perché È così, FA così, SBAGLIA così”. Cliché. A volte ci azzeccano e io mi arrabbio sempre di più, con tutto, con tutti, me compresa. Mi vergogno, mi tormento, mi esaurisco. Non ho passioni, niente interessi. Mi ammalo: bronchiti, asma, poi gastrite, poi colon irritabile, poi cefalee da K.O., insonnia, ansia, panico, vomito. Non trovo pace. Non ne posso più, vado in terapia ma trovare un terapeuta “accogliente” è come trovare i quadrifogli. Tocco il fondo. Poi mi arrendo. Così, quasi a sorpresa, mi arrendo. L’emotività cala, si aprono spiragli di luce, torno a respirare, cammino, gioco. Improvvisamente sento di capire: i miei hanno fatto ciò che potevano; io posso immaginarmelo un “padre”, un maschio adulto, con cui parlo e mi sento bene. Ho staccato le etichette. Evviva. Volevo farvi arrivare tutta la gratitudine che provo per il vostro lavoro. Attraverso i vostri articoli (sono vostra abbonata) ho imparato ad imparare. Grazie. A tutto lo staff. Grazie».

Quella ferita che non c’era

Nella resa di Anna Paola cominciano i veri miracoli dell’anima, che avvengono solo quando non cerchiamo più di interferire, quando ci diciamo “sia quel che sia”, oppure “accolgo i miei disturbi, senza più oppormi”. Anna Paola torna a respirare, a camminare, a giocare, a non tormentarsi più con il passato e arrivano puntualmente le Immagini. Non c’è più un padre da cercare, ma l’immagine paterna viene a trovarla lo stesso, come in un sogno, e le porta il sollievo e la guarigione. Un padre immaginario arriva a consolarla, a guarirla dopo che lei si è arresa. Il papà che abbiamo avuto non è così importante, non quanto l’energia paterna, antica come il mondo che abita dentro di noi. Inutile analizzare la propria storia legandola ai rapporti con i genitori: il nostro lato personale conta poco, così come rimuginare sul passato.

«L’elemento personale non aveva mai un ruolo determinante nella vita di Jung; il più vero ed essenziale era sempre l’elemento impersonale. Una volta, durante un’ora di analisi, io volevo parlare del rapporto coi miei genitori, il nocciolo delle analisi classiche. Jung non mi permise neppure di cominciare a parlare: non dovevo sciupare il mio tempo, disse!»
(Aniela Jaffé, Saggi sulla psicologia di Carl Gustav Jung, Edizioni Paoline, Roma 1984, p. 137).

Cosa conta? Dimenticare se stessi, arrendersi ai disagi, dirsi: «Mi affido a un’energia misteriosa che si prende cura di me, delle mie sofferenze». E poi aspettare con pazienza che le cose si mettano a posto. «Nella vostra pazienza, possedete la vostra anima» diceva Jung. Bisogna non interferire e accogliere il proprio dolore.

«Non esiste vita senza lati oscuri e difficili. Consolando, cancellando il dolore, si priva la persona di un’esperienza di vita; e d’altra parte il nocciolo della depressione resta intatto e provoca ben presto nuove pene»
(Aniela Jaffé, Saggi sulla psicologia di Carl Gustav Jung, Edizioni Paoline, Roma 1984, p. 125).

Arrendersi non è accettare la propria sfortuna, ma entrare nel Regno dell’energia sconosciuta che ci abita, che ha soluzioni solo se la chiamiamo in causa. Questa energia ci fa gioire, ridere, immaginare, sognare ed esiste al di là del padre assente. Il mio lavoro mi ha insegnato che la Resa è un vero e proprio farmaco dell’anima, mentre l’ostinarsi a voler star bene, a cercare qualcosa a tutti i costi, come un padre mai visto, comporta solo danni. I disturbi di Anna Paola sono scomparsi quando ha trovato l’immagine di un Padre fuori dal tempo, un Dio, avrebbero detto i Greci, che l’ha curata portandola via dalla sua storia personale. Arrendersi e immaginare sono le chiavi della salute interiore.

Arrendersi non vuol dire accettare la propria sfortuna, ma entrare nel Regno dell’energia sconosciuta che ci abita.

raffaele morelli
Psichiatra e Psicoterapeuta. Fondatore e Presidente dell’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, Direttore responsabile delle riviste Riza Psicosomatica, Dimagrire, MenteCorpo.
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