Lo sguardo degli altri mi paralizza: come ne esco?
L'aiuto pratico

Lo sguardo degli altri mi paralizza: come ne esco?

Non sono gli occhi di chi ci guarda il vero avversario, ma l'idea di non corrispondere al modello di persona che crediamo di dover essere: liberatene così

Molte persone, quando si sentono sotto osservazione, vanno in crisi e si bloccano. Come interpretare questa particolare forma d'ansia? Come affrontarla? Ecco cosa scrive Marco.

"Sono un ragazzo di 28 anni e ho un problema: spesso, quando mi trovo in presenza di persone che non conosco o conosco poco, provo un forte disagio ed entro in difficoltà nel fare anche le cose più banali, come prendere un caffè o pagare alla cassa automatica in un centro commerciale con gente in fila che mi guarda e si aspetta che io mi sbrighi. Vengo invaso da brutte sensazioni come tachicardia, tremore alle mani; anche mangiare con persone che conosco poco è difficile e facilmente vado in panico. Insomma è una specie di ansia da prestazione, ogni volta che devo fare qualcosa con qualcuno che mi guarda va così. Che cosa posso fare per cambiare atteggiamento ed essere sicuro come gli altri? Ho questo blocco da sempre, anche quando ero piccolo ricordo molte circostanze nelle quali ho avuto le stesse sensazioni sgradevoli e vengo da una famiglia di ansiosi cronici."

Indice dell'articolo

L'occhio che giudica non vede

Dobbiamo immaginare la nostra mente, la psiche superficiale, come un occhio che guarda e giudica. Allo stesso tempo, dovremmo pensare alla psiche profonda come a un occhio che guarda e basta, senza giudizio. Nell'analizzare il caso di Marco, diventa fondamentale la prospettiva dalla quale guardiamo il suo disagio. La coscienza razionale, utilissima in tanti ambiti della vita ma non nel campo emotivo, suggerirebbe la seguente interpretazione, errata: Marco, fin da piccolo, per via dell'ambiente ansioso dove è nato, ha sviluppato una particolare forma di ansia da prestazione persino nei confronti di attività banali come prendere un caffè o pagare alla cassa del supermercato. La presenza di sconosciuti scatena in lui una tempesta emotiva insopportabile. Quel che deve fare è rafforzare la suaautostima cercando di sconfiggere questo disagio che gli causerà certamente brutte figure. Per farlo, occorre capire la causa scatenante del blocco, da dove il disagio possa provenire. Marco ne colloca la genesi nell'infanzia e afferma di soffrirne da sempre: ne consegue che la genesi dell'ansia va collocata nell'infanzia e nei rapporti con mamma e papà.

Non contano gli altri o il passato, ma tu

Esiste un approccio differente: c'è qualcosa adesso che fa agire Marco nel modo descritto. Forse alcune esperienze del passato possono aver fatto da innesco al suo disturbo, ma non ne sono la causa profonda, non hanno a che vedere con il senso di ciò che gli accade ora. Tutti gli sguardi che lui immagina puntati su se stesso non sono altro che la proiezione di un unico sguardo, il suo. Il primo e più spietato giudice siamo sempre noi stessi, poiché abbiamo in mente un modello di comportamento cui adeguarsi e non riusciamo mai a raggiungerlo. Per fortuna: se fosse possibile giungere a una simile meta, in poco tempo uomini e donne sarebbero più simili a cloni che a esseri umani. Si, perché questi modelli universali di comportamento sono sempre uguali, stereotipati, immutabili. Non tentiamo di adeguarci a loro perché lo chiede la nostra natura (che in realtà vorrebbe il contrario), ma per paura, per conformismo o per quieto vivere.

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La sola sfida da cogliere: diventare ciò che siamo

Ecco il senso profondo del disagio che coglie Marco: non deve imparare ad adeguarsi di più, deve farlo di meno! Più si vedrà come persona in prova, più le domande saranno incalzanti. "Vado bene? Sto disturbando qualcuno nella fila? E se non riesco a contare i soldi in fretta e la gente inizia a lamentarsi? Sarò seduto in modo composto? Che forchetta devo usare?" A questo tipo di domande la mente risponde sempre in modo negativo. "No, non vai bene, se rallenti la fila fai la figura del fesso, guarda come sei seduto, che maleducazione!" Da qui all'ansia da prestazione il passo è brevissimo. Marco non risolverà il suo problema fino a quando punterà su se stesso uno sguardo simile a un fucile spianato. La chiave di volta è la cedevolezza nei confronti di un'energia, quella espressa dall'ansia, che arriva per tutt'altra ragione, per ricordargli che non sta vivendo la sua vita, perso com'è dietro all'imperativo categorico di piacere al mondo. Riorientare lo sguardo diventa quindi la sola azione terapeutica: non ho l'ansia perché devo essere perfetto e non ci riesco. Ho l'ansia perché mi sforzo continuamente di essere come penso che gli altri mi vogliano e l'anima, la psiche profonda, si ribella a questo diktat: basta smettere di farlo e cominciare a occuparsi di sé per vedere il disturbo diminuire e poi scomparire.

Se accogli il disagio, lo vedrai tramontare

Esiste un esercizio molto utile per tutte le persone che soffrono di questa particolare forma d'ansia. Inizialmente, si tratta di scegliere la più facile delle situazioni ansiogene, calarcisi dentro (ad esempio, bere il caffè con qualcuno appena conosciuto) e concentrare tutta la nostra attenzione sulle sensazioni che proviamo nel farla, per quanto fastidiose possano essere, senza cercare di mandarle vie e senza interpretarle. Soffermiamoci sul fastidio fisico che proviamo nel petto, oppure sulla tachicardia, o sulla sudorazione, così come compaiono. Con una mano, massaggiamo delicatamente la parte sofferente, se possibile a occhi chiusi. Sono gesti semplici e molto naturali che ci abituano pian piano a cambiare la direzione del nostro sguardo, dal mondo esterno verso noi stessi. La premessa di ogni guarigione sta nel modo con cui guardiamo i disturbi: se siamo noi che li creiamo, siamo sempre noi che possiamo mandarli via.

andrea nervetti
Psicologo e psicoterapeuta, collabora dal 2001 con l’Istituto Riza di Medicina psicosomatica di Milano dove esercita la libera professione. Vice Direttore e Docente presso la Scuola di specializzazione in Psicoterapia a indirizzo psicosomatico dell’Istituto Riza. Membro del Consiglio direttivo della SIMP (Società italiana di medicina psicosomatica), scrive per le riviste Riza Psicosomatica, Antiage ed è responsabile del sito www.riza.it. Svolge anche attività libero professionale presso l'Istituto stesso e a distanza via internet. La scheda completa dell'autore
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