Raffaele Morelli: Smetti di dirti che non vai bene!
L'aiuto pratico

Raffaele Morelli: Smetti di dirti che non vai bene!

Chi si critica, si giudica e si auto-svaluta pensa così facendo di migliorarsi: in realtà sta bloccando la propria evoluzione, per adeguarsi ai modelli esterni

Alberto (50 anni) è venuto da me in terapia perché non riusciva a portare a termine nessuna delle cose che intraprende nella vita. Ci siamo visti una sola volta.

Alberto: Dottore non concludo mai niente, sono inconcludente.

Raffaele: Cioè?

Alberto: Faccio le cose per un po’, mi entusiasmo, le inizio e poi le lascio.

Raffaele: Mi faccia un esempio.

Alberto: Mi sono impegnato allo spasimo per diventare un giocatore di pallanuoto. Sono arrivato in serie A. Poi di punto in bianco ho smesso. Pensi che solo all’idea di andare in piscina e sentire l’odore del cloro mi viene un disgusto tremendo.

Raffaele: Altri esempi?

Alberto: Ho fatto il corridore in moto, sono arrivato ad alto livello e poi un giorno ho lasciato, nonostante tutti vedessero in me più di una promessa. Sono inconcludente. Anche con le auto sono così. Grande entusiasmo quando le prendo, e poi dopo un mese non le guardo più. Idem anche quando compro un oggetto.

Raffaele: Ma questo è un punto di vista.

Alberto: No, no, sono così. Io non riesco a portare a termine le cose. Mi sono laureato in economia; con sforzi sovrumani ho preso 110 alla laurea. Poi però non ho mai esercitato, non ho fatto il commercialista, l’economista che sarebbe tanto servito all’azienda di mio padre.

Raffaele: Però si è laureato…

Alberto: Sì, voglio essere perfetto, mi butto, ma quando arrivo alla meta, stop, fermo tutto, e mi butto su altre cose.

Raffaele: Altri esempi?

Alberto: Anche con le donne. Mi piace la conquista, mi piace tutta la fase iniziale dell’innamoramento e poi mi stufo. Anche nel sesso: inizialmente sono preso e poi passo quasi subito a un’altra storia. Questo mio modo di essere l’ho portato in psicoterapia per due anni, ma non è migliorato per niente.

Curioso, non inconcludente

Alberto ha avuto l’anno scorso un gravissimo attacco di ipertensione, a cui è seguito un infarto molto esteso che l’ha costretto e lo costringe ad assumere moltissimi farmaci, a stare a dieta in modo pesante, a non bere alcolici: negli ultimi anni cibo e alcol erano la sua maggiore dipendenza. Ma nonostante i diktat dei medici, negli ultimi tempi è ingrassato di 20 chili. Il non aver cura del suo corpo è un altro modo, secondo lui, di essere inconcludente. La seduta prosegue...

Raffaele: Mi chiedevo se c’è un altro punto di vista, un altro modo di definirsi rispetto all’essere inconcludente.

Alberto: Non saprei… (Dà un risposta di impeto, immediata, spontanea). Beh potrei dire che sono un gran curioso!

Raffaele: “Curioso” significa che lei fa tante cose e poi le lascia perché vuole esplorare nuovi mondi, nuovi percorsi, mentre “inconcludente” significa che lei fa cose che vengono sempre interrotte e che non portano da nessuna parte.

Alberto: Beh sì, io mi dico che non vado bene perché lascio le cose iniziate… Questa è una cosa che mi disturba, lo dicevo anche al mio precedente psicoterapeuta, ma comunque sono rimasto sempre inconcludente. Ogni giorno mi dico che non ho concluso niente, me lo ripeto tutte le sere. Non mi vado mai bene, sono sempre lì a criticarmi, tutto il tempo mi dico che non valgo niente, che non sono mai all’altezza.

Raffaele Morelli

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La malattia dell’ipercontrollo

Il linguaggio del corpo racconta un’insoddisfazione profonda, una ferita che sanguina incessantemente. Il gravissimo infarto, la pressione sempre molto alta rivelano una lotta furibonda contro il proprio cuore, i propri affetti e i propri istinti. L’ipertensione è la malattia dell’ipercontrollo, del non lasciarsi mai andare, dello stare sempre all’erta, del dirigersi, del condursi, del non perdere mai la testa.

C’è una lotta profonda, in Alberto: l’anima, l’inconscio, dicono: «Che essere speciale sei, la tua curiosità ti porta sempre a nuove avventure di lavoro, di relazioni, di amori». Invece l’Io, i pensieri, vedono l’inconcludente, il buono a nulla, quello che lascia sempre le cose a metà. Il fatto è che Alberto passa le giornate a insultarsi, ad attaccarsi, a svalutarsi e quindi a ferirsi. «Ogni giorno mi dico che non posso andare avanti così, che non posso continuare ad essere in questo modo, fallimentare». Le sue parole sono coltellate alla sua anima curiosa: la quale non ha retto… E il cuore si è rotto.

Smettere di punirsi

Questo editoriale è dedicato a chi si critica, a chi continua a dirsi che non va bene così com’è. Le nostre caratteristiche (anche se apparentemente inconcludenti) sono un marchio di fabbrica del nostro Sé. La personalità si trasforma solo se la mente diventa quieta: accoglie quello che non ci piace di noi e lo tratta come un compagno di viaggio e non come un nemico da abbattere. È diverso scoprire le tendenze che ci abitano, dal commentarle e dal criticarle.

Ciò che Alberto chiama azioni inconcludenti sono energie preparatorie della personalità per realizzare il proprio destino, la propria unicità. Se non lo capiamo, finiamo per vedere definitive cose che sono solo transitorie e finiamo per circondarci di persone che ci sgridano, che assumono il ruolo di censori della nostra vita istintiva, spontanea. Alberto ha trovato infatti una moglie che gli ripete costantemente che lui non conclude niente…

Il nostro Io spesso sceglie persone che ci dicono quello che vogliamo sentirci dire. Crediamo che gli attacchi degli altri servano a spronarci, come nel caso di Alberto, al fine di eliminare quel lato inconcludente, che in realtà sta preparando nuovi percorsi. Eliminare questo lato significa bloccare la nostra metamorfosi.

E il ? L’essere curioso che abita dentro Alberto, quello che vola di fiore in fiore? Che ne è di lui, del centro, del suo nucleo? È vero che nel non concludere le cose possiamo correre il rischio di essere superficiali, sempre sospesi nell’aria, ma pericoli di gran lunga maggiori arrivano se togliamo alla nostra pianta i rami e le foglie. L’autocritica impietosa che lo aveva ferito al cuore con l’infarto e la pressione alta rivelava la gabbia in cui Alberto imprigionava i suoi istinti. Bloccare l’energia istintuale, bloccare la propria spontaneità, la propria naturalezza, inevitabilmente ci fa ammalare. Non viviamo per corrispondere all’idea che gli altri si sono fatti di noi, ma per seguire la nostra natura, sia quel che sia.

Il giorno dopo quella seduta, Alberto ha ritrovato il sorriso, dopo molti mesi. E mi ha scritto: «Sono felice, sono andato a camminare con la gioia sul viso e nel cuore e, cosa strana, le persone mi sorridono». Ora ha cominciato a smettere di ferirsi.

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raffaele morelli
Psichiatra e Psicoterapeuta. Fondatore e Presidente dell’Istituto Riza di Medicina Psicosomatica, Direttore responsabile delle riviste Riza Psicosomatica, Dimagrire, MenteCorpo.
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