Crediamo di sfogarci ma, in realtà, ci rispecchiamo nei nostri insuccessi, operazione che alimenta in noi la disistima
Quando ci lamentiamo di qualcosa, dobbiamo sapere che in quel momento, a causa di quelle parole, è come se ci stessimo immergendo in una sorta di palude energetica, statica, ferma, pesante. Si tratta di una palude che risucchia la nostra vita, le nostre forze e che quindi ci farà, tra le altre cose, invecchiare precocemente.
Perché ci mette di fronte alle nostre sconfitte, alla nostra sfortuna, ci fa rispecchiare nella nostra incapacità, nei nostri fallimenti. Perché ci trascina nel passato, un tempo morto, in quanto rimanda sempre a qualcosa che è successo qualche ora prima, qualche giorno fa, l’anno scorso.
In questo modo non andremo certo a favorire la nostra autostima, il contrario, e quando il lamento dovesse diventare un nostro atteggiamento abituale, finiremo per trasformarci in una caricatura incapace di trovare la propria direzione nella vita.
In primo luogo quello che suggerisce Baruch Spinoza, filosofo olandese del diciassettesimo secolo: “Non si piange sulla propria storia si cambia rotta”. Vai oltre insomma, procedi in una direzione nuova rispetto a quella che non ha funzionato e soprattutto, non dimenticarti che ciò che è stato è stato e che è inutile e controproducente tornarci su ripensandoci e lamentandoti.
E poi, l’altra nostra grande risorsa è dar spazio al fare, alla creatività: di fronte a qualcosa che è andato storto la miglior soluzione non è lamentarsi ma mettersi al lavoro, in qualsiasi modo, meglio se ci si può dedicare a un’attività manuale di qualsiasi genere: ce lo ricorda William Blake, poeta inglese quando scrive che “L’ape affaccendata non ha tempo per dolersi”, una frase che non lascia spazio a repliche.
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