"È finita ma non riesco a dirglielo": che fare?
Coppia e amore

"È finita ma non riesco a dirglielo": che fare?

Non temi di lasciare lui, ma l'idea statica che hai di te stessa: se smetti di dirti cosa devi fare, l'anima scenderà in campo al momento giusto indicandoti la via

Ci scrive una lettrice di Riza Psicosomatica:

"Sono Silvia ho 32 anni e da tempo sento che non posso andare avanti così con il mio compagno. La nostra relazione non funziona, e in più io ho frequenti crampi allo stomaco e mal di testa ricorrenti. Devo prendere questa decisione ma non riesco a capire quando e come dirglielo. Ci sono delle cose che mi bloccano, forse una sottile speranza che l'amore possa rinascere. Penso ai vecchi tempi, a volte guardo foto di quando eravamo felici e mi prende la paura di rimanere sola. In cuor mio so che è finita ma se penso di perderlo per sempre mi sale l'ansia e rimando, ma così non faccio che soffrire. Come posso fare per uscire dl questo circolo vizioso che mi paralizza?

Quando per la paura del dolore, l'incognita dei cambiamenti e il peso del passato, resistiamo a seguire quello che sentiamo nel profondo, il corpo soffre e manda segnali; nel caso di Silvia, a "parlare" sono lo stomaco e il cervello. A uno sguardo più profondo, però il malessere di Silvia riguarda solo in superficie la relazione con il partner: in realtà, la sua resistenza ha a che vedere con il suo processo di maturazione, che probabilmente deve passare anche attraverso l'allontanamento dal compagno. Si ribalta la prospettiva: la resistenza non è determinata dalla crisi con lui, bensì svelata da quest'ultima. Silvia ha paura di questo mutamento interiore, non di lasciare il partner!

Indice dell'articolo

I dolori del corpo sono messaggi dell'anima

Il corpo di Silvia esprime con i crampi allo stomaco la rabbia che la abita e che lei non vuole vedere e con le frequenti cefalee la sua tendenza a rimuginare, a pensare e ripensare al problema nell'illusione di risolverlo. C’è in lei un’energia aggressiva che fatica a venire fuori e finisce per "cortocircuitare" nella pancia. Poiché lasciare qualcuno è sempre un atto aggressivo e ci mette nei panni indesiderati del cattivo, la lettura giusta della sua sofferenza è questa: Silvia teme di contattare questa parte di sé, e così il corpo si incarica di metterla in scena con i crampi. Quell'energia deve esprimersi: se gli impediamo di farlo, diventa sintomo psicosomatico. La "prova iniziatica" da vivere ora è questa: lasciare lui significa entrare in contatto con questa energia importantissima, che lei trascura.

E il mal di testa? È il risultato di un eccesso di pensiero che lei usa per rimanere ancorata a un modello di donna razionale, che crede che le cose debbano essere fatte in un certo modo. Ma pensare costantemente a come compiere questo gesto, a quali parole usare per lasciarlo, non fa altro che creare un ingorgo di pensieri che il cervello non tollera. Così, quando il rimuginio giunge all'apice, avviene il "reset" della cefalea che, come tutti sanno impedisce di pensare. Meglio così in verità, perché quel che Silvia sta cercando è una chimera: il modo corretto di dire addio a qualcuno non esiste. L’anima di Silvia le sta dicendo, attraverso il dolore, che lei si trattiene e pensa troppo ma anche che la abita un'energia potente, che con le vesti accese della rabbia, potrebbe sciogliere nodi profondi dentro di lei, superare ciò che va superato, e quindi aprire le porte a nuove tappe evolutive. Il corpo di Silvia è attraversato dalle grida di un rinnovamento necessario che deve prendere forma. Questo è il punto chiave, non tanto e non solo lasciare lui.

Quando le speranze ci paralizzano

La speranza che lei dice di provare ogni tanto è un'ulteriore prova di resistenza. Come un laccio invisibile imprigiona Silvia, facendola esitare di fronte a una scelta che dentro di lei si è già fornata da tempo. Apparentemente, questo sentimento addolcisce i momenti di angoscia, consola dal dolore, lo rende più sopportabile, ma il prezzo è salato perché ciò che si vorrebbe recuperare o migliorare non c'è più, è già passato. Non si recupera né si migliora nulla in una relazione, e se è vero che in certi casi si può ricominciare, ciò avviene solo se ci si arrende al fatto che si è giunti al capolinea. Una storia nuova è forse possibile, un revival no!

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Non opporti alla paura

Niente torna mai nella vita, tutto prosegue, scorre come un fiume che deve raggiungere la sua foce e se lo ostacoliamo, il corso d'acqua si farà solo più impetuoso. Il disagio, la sofferenza corporea stanno dicendo a Silvia che lei non si sta opponendo tanto al fatto di doverlo lasciare, ma al suo rinnovamento interiore, e si imprigiona in un passato che non esiste più. Ma cosa si deve fare in concreto quando arriva la paura della solitudine? Bisogna accoglierla, come se fosse un'onda travolgente su una spiaggia. Questo timore fa parte del percorso di rinnovamento, serve a ripulirla dalle scorie del passato, dagli attaccamenti, dalle speranze illusorie. Cedendo alla paura, la solitudine pian piano cesserà di essere un avversario da scacciare, ma diventerà un luogo di benessere. A quel punto farà molta meno paura e le conseguenze della fine della relazione non saranno drammatiche come appaiono oggi.

I bei ricordi del passato sono gabbie

E che dire dei bei ricordi? Se li evochi tu, ti stai "attaccando" a un sole che è già tramontato, o ti ancori a uno scoglio che non ti permette di navigare in mare aperto. Se arrivano spontaneamente, riguardano la tua vita di oggi: esiste anche adesso una Silvia felice, una Silvia che può sorridere, godere, emozionarsi. Se i ricordi giungono da soli servono alla tua vita attuale, altrimenti sono sterili nostalgie del bel tempo che fu.

Impara a lasciar andare

Esiste un efficace esercizio immaginativo, utilizzato abitualmente in psicoterapia psicosomatica, che aiuta a superare i momenti di angoscia e a favorire il processo di maturazione invece di ostacolarlo. Si fa così:

1Cerca un luogo sicuro, intimo, accomodati e respira profondamente portando l’attenzione sul corpo che respira, sul corpo che sa, che sa come respirare.
2

Ora immagina di essere un albero verde, dalla grande chioma, ricco di foglie.

3

Immagina che piano piano, lentamente, ognuna di queste foglie ingiallisca e che un alito di vento le faccia cadere, una ad una, in un silenzioso pomeriggio d’autunno.

4

Ora sei nudo, non c’è più nulla, nessun pensiero, nessun ricordo, nessun progetto, ci sei solo tu e la tua nuda essenza.

5

All’improvviso ti accorgi che in questa nudità, in questo nulla, cominci a fiorire, bocciolo dopo bocciolo.

6

Stai con la tua fioritura e attendi. L'anima è al lavoro per te!

andrea nervetti
Psicologo e psicoterapeuta, collabora dal 2001 con l’Istituto Riza di Medicina psicosomatica di Milano dove esercita la libera professione. Vice Direttore e Docente presso la Scuola di specializzazione in Psicoterapia a indirizzo psicosomatico dell’Istituto Riza. Membro del Consiglio direttivo della SIMP (Società italiana di medicina psicosomatica), scrive per le riviste Riza Psicosomatica, Antiage ed è responsabile del sito www.riza.it. Svolge anche attività libero professionale presso l'Istituto stesso e a distanza via internet. La scheda completa dell'autore
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