Con l'ansia non devi ragionare, ma arrenderti
Ansia

Con l'ansia non devi ragionare, ma arrenderti

Lo dicono anche saggi e filosofi del passato: quando l’ansia compare, la ragione è impotente. Non serve reagire, ma abbandonarsi...

Bisognerebbe vivere la propria vita con lo spirito del viaggiatore: costantemente alla ricerca dell’imprevisto, in modo da percepire le cose come fossero sempre nuove. Non sempre però è possibile. Talora questo viaggio di esplorazione è sbarrato da un intrico di rovi che procurano dolorose ferite con le spine dell’ansia. Rovi di cui in molti casi non conosciamo la natura. Alcuni filosofi tuttavia ritengono che esista una radice comune ben individuabile dell’ansia. Pensano che rappresenti il terreno in cui affonda un cattivo stile di vita: un modo d’essere fossilizzato che, secondo Epitteto, ci allontana dalla nostra interiorità. Che cosa ammiriamo? Le cose esterne. Di che cosa ci preoccupiamo? Delle cose esterne. E poi non riusciamo a comprendere com’è che siamo in timore, com’è che siamo in ansia? Che cosa succede quando riteniamo mali gli avvenimenti che ci sovrastano? Non possiamo non essere nel timore, non essere in ansia”.

Ansia, il prezzo del successo a ogni costo

Nietzsche, in particolare, intravede nell’ansia uno stagno emotivo intorbidito dai depositi del desiderio ossessivo di afferrare ogni possibilità di successo: “Si pensa con l’orologio alla mano, come si mangia a mezzogiorno, con lo sguardo rivolto al bollettino della Borsa - si vive come uno a cui continuamente potrebbe mancare un’occasione”. Ma c’è di più: ad avviso di Cioran, l’ansia impedisce all’anima di sentire dentro di sé il respiro dell’universo: “L’ansia è coscienza della paura… È fatta dell’impossibilità di comunicare con il tutto, di assimilarsi e perdersi nel tutto; arresta la corrente che passa dal mondo a noi, da noi al mondo». Come evitare dunque che l’ansia invada come gramigna i giardini della nostra anima?

Due errori comuni, una soluzione: la resa

Una pessima risposta consiste nell’affrontare l’ansia lancia in resta a cavallo della nostra razionalità: verremmo disarcionati. Alain è molto esplicito su questo: “Nei momenti d’ansia, non cercate di ragionare; ogni ragionamento vi si rivolterà contro”. Altrettanto deleteria è la soluzione di sottoporsi a processo attribuendosi chissà quale colpa. Ovvero di vergognarsi del temporaneo senso di smarrimento, quasi fossimo in torto. La via migliore da imboccare è quella di deporre le armi, di arrenderci. Di metterci in silenzioso rapporto con noi stessi. Inciamperemmo nella nostra ombra se volessimo cercare delle cause, esprimere giudizi. Insomma, cerchiamo di non reagire e affidiamo il compito di farci star bene a quella parte dell’anima che è il centro della nostra vita creativa.

Solo la via del silenzio allontana l’ansia

“Il centro più intimo è immerso nel silenzio. Inizia da lì” esorta a questo riguardo Osho. “L’azione sorge solo dal silenzio. Se non sai stare in silenzio, se non sai stare seduto in silenzio o se non sai stare in meditazione profonda, qualsiasi cosa tu faccia è una reazione, non un’azione. Tu reagisci sempre”. La nostra anima saprà indicarci come gettare la zavorra. Sperimenteremo così il piacere di lasciarci sollevare dolcemente dal vento della nostra energia profonda verso il cielo del rinnovamento interiore.

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