Le ferite dell’anima sono come quelle del corpo e quindi bisogna lasciar loro il tempo di cicatrizzare e di guarire: solo dopo potrai ripartire
“The show must go on”, lo spettacolo deve andare avanti: un motto che riassume bene la filosofia di vita dell’era moderna. Ti è successo qualcosa che ti ha lasciato tramortito? Sei in preda allo sconforto? Hai subito un lutto? Ti senti depresso? “Sì, certo, è molto triste – recita una voce interiore - ma non c’è tempo per tutto questo: devi subito ripartire perché la vita continua, e va anche molto in fretta; non vorrai restare indietro, no?”.
È così che a molti di noi può capitare, in un momento difficile, di essere circondati da persone che si aspettano una pronta reazione, una dimostrazione immediata di forza. Persone che incitano a “tirare fuori gli attributi” e a trasformare velocemente la depressione o il travaglio, magari ancora acuto in un lontano ricordo. È un’ideologia, quella dell’essere sempre allegri, attivi e produttivi, talmente diffusa che oggi chi “si attarda” in un’elaborazione di un lutto o in un ripiegamento appena un po’ più marcato può addirittura sentirsi in colpa. Non è soltanto un problema di giorni lavorativi persi e di efficienza ridotta, ma di vita sociale che non accetta la pausa dolorosa: va benissimo andare alle Maldive due settimane, ma prendersi due settimane per un travaglio personale “non è accettabile”.
Il messaggio è: tirare avanti senza batter ciglio è una dimostrazione di maturità e forza, mentre un naturale momento di sconforto è segno di una debolezza che dà fastidio. Qualcuno potrà dire: “Però in fondo è vero: la vita va avanti, il passato non torna e buttarsi giù peggiora soltanto le cose”, e sicuramente c’è del vero, ma così facendo, cioè applicando questa fretta intransigente, si calpestano leggi psichiche fondamentali, quelle che vedono nei momenti di depressione, crisi, lutto o sconforto la chiave di accesso a una ripresa piena e autentica della vita personale.
Se siamo noi a soffrire, non dovremmo permettere a chi ci circonda di “consolarci” con frasi banalizzanti e assurde richieste di immediata reazione, che ottengono solo l’effetto di farci sentire più soli, di irritarci e di rallentare la nostra elaborazione. Mentre se a essere sconfortato o tramortito è qualcuno a cui vogliamo bene, lasciamogli il tempo di soffrire, permettiamogli di “soffrire bene”, perché solo così la sua ripresa sarà reale e duratura. Offriamogli, se lo richiede, la nostra presenza affettuosa e non giudicante, in modo da aiutare la sua mente a non sentirsi troppo sola...
Se un evento ti colpisce nel profondo, è nel profondo di te stesso che la sofferenza deve essere affrontata e risolta, senza sentirti in dovere di cacciar via il dolore il più in fretta possibile. Rispetta i tuoi tempi, altrimenti c’è il rischio di rimuovere il dolore senza averlo risolto, e in questo caso non ci può essere vera guarigione.
Solo tu puoi sapere di quanto tempo hai bisogno per elaborare il dolore, non devono essere gli altri a stabilirlo. Perciò, se vuoi che quei tempi vengano rispettati, devi abituarti a comunicarli, chiedendo agli altri di rispettarli, anche quando possono sembrare troppo lunghi rispetto a una presunta normalità.
Se la soluzione alla crisi è dentro di te, non significa che non devi farti aiutare da qualcuno che è in grado di farlo. Prova a beneficiare della presenza altrui, della compagnia, del dialogo e del confronto con persone di cui hai piena fiducia. Se questi aiuti esterni non sono invasivi e indiscriminati potranno favorire il processo di superamento e di rinascita.