Se il desiderio di avere un figlio si trasforma in un obbligo autoimposto, l'anima lo boicotta: scopri cosa fare per uscire dalla trappola dei pensieri fissi
Avere un figlio è, oggigiorno, un problema per molte donne. A tal proposito scrive una lettrice di Riza Psicosomatica:
"Sono Amanda, ho 36 anni e da almeno due cerco invano di avere un figlio. Tra un problema e l’altro, ora la situazione sembra migliorata per me e mio marito e i dottori dicono che siamo pronti, fisicamente, ad avere un bambino. Ma non arriva. Ogni giorno, ogni mese il mio pensiero fisso è: questa è la volta buona, ora succederà e sarò felice, appagata. E non succede. Non so se la mia mente sia tanto potente da inibire il concepimento, ma mi è stato detto che ci metto “troppo pensiero”. Io vorrei imparare a distaccarmi da ciò che desidero, perché per carattere sono una persona che si focalizza sempre sui suoi obiettivi e li raggiunge. Non so davvero come fare ad apprendere l’arte di saper aspettare e questo non mi fa stare bene, e non solo in questa specifica situazione. Potreste aiutarmi a comprendere come iniziare un percorso di distacco emotivo da ciò che voglio?”.
Quando un desiderio come quello di diventare madre diventa una presenza costante e continua, quando tutta la nostra esistenza orbita intorno a un solo progetto, l'inconscio si ribella e lo blocca. Forse accade questo ad Amanda: i medici hanno detto che lei e suo marito sono pronti ma, nonostante i tentativi ripetuti, non riesce a restare incinta.
La gravidanza, come tutto ciò che avviene nel corpo, necessita di spontaneità e di naturalezza; per questo, quando la pretendiamo con il pensiero, con l’intenzione, dunque con la volontà razionale, può inibirsi. Come accorgersi di essere in questo loop? Per esempio dal fatto che spesso, in simili frangenti, non riusciamo più a vivere la dimensione sessuale in modo ludico, ma la associamo automaticamente al concepimento. Al contrario, e paradossalmente per favorire il concepimento stesso, l’eros non andrebbe mai recluso nella sola funzione riproduttiva ma dovrebbe essere sempre vissuto come un’attività legata al gioco, al piacere, alla fantasia...
L’ideale di felicità di cui ci parla Amanda sembra legato esclusivamente alla realizzazione del suo progetto: avere un figlio. Si tratta di un’idea limitata e parziale poiché prende in considerazione e coinvolge solo un ambito della sua vita, soltanto uno dei volti che la caratterizzano. Questo sogno unidirezionale esclude tutte lealtre dimensioni di sé che possono caratterizzarla e l'anima detesta che una parte di noi, pur importante prenda il sopravvento sulle altre.
In lei sono certamente presenti interessi e passioni che ha dimenticato ed escluso dai suoi orizzonti, perché troppo concentrata sul tema della maternità. Come afferma Carl Gustav Jung, ognuno di noi può essere davvero felice solo se vive ed esperisce tutti i lati della propria personalità. Al contrario, concentrarsi su di un solo lato ci fa incontrare continue frustrazioni e disagio.
Amanda pensa di dover raggiungere uno stato di “distacco emotivo” rispetto al suo desiderio di diventare mamma, ma per come lo imposta lei, si tratta di un falso bersaglio. Il distacco emotivo di cui parla in realtà rientra nella strategia che lei mette in atto per realizzare...l’obiettivo stesso!
In realtà, non deve raggiungere alcun distacco emotivo (cosa per altro impossibile) ma cedere al dolore della delusione quando arriva, non commentarlo, non cercare strategie. Dirsi: ok, mi sento impotente e soffro, è così e non posso farci nulla, sto con il mio malessere, lascio a lui il comando e sia quel che sia. Poi, quando il dolore comincia a sfumare, volgere lo sguardo altrove. Cosa piace ad Amanda? Cosa le interessa, cosa cattura la sua curiosità, al di là della questione figlio che non arriva?
Amanda afferma, in un altro passo della sua e mail, di essere una persona che si focalizza sempre sui suoi obiettivi. Si tratta di una convinzione: anche in lei, così volitiva, esiste un lato opposto, arrendevole, contemplativo e non puntato unicamente al bersaglio. Questa è la migliore occasione che lei ha di incontrarlo.
La vera partita che Amanda dovrebbe giocare è quella che parte da una frase: "Io non mi conosco, non so chi sono". Tutto quello che crediamo di conoscere appartiene alla sfera dell'Io, la parte superficiale di noi. Nel profondo c'è altro; soprattutto, c'è il nostro volto sconosciuto, spesso molto diverso da quello che usualmente mostriamo al mondo e a noi stessi.
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Non solo: l'arte di saper aspettare che Amanda non si riconosce è già dentro di lei, a fianco dell'impazienza. Per trovarla, deve smettere di considerare quest'ultima un difetto, ma vederla come una caratteristica di personalità. Bisogna dirsi: "Si, l'impazienza fa parte di me, insieme ad altro".
Contemplare il proprio mondo interiore senza giudizio è indispensabile per uscire dal circolo vizioso delle ossessioni e dall'idea malata di doversi migliorare per raggiungere quel che desideriamo. Nessuno sa se Amanda riuscirà ad avere un figlio, ma se la sua difficoltà dipende psicosomaticamente da un pensiero ossessivo, la miglior strategia per superarlo è arrendersi quando arriva, contemplarne il tramonto e poi tornare a occuparsi pienamente della propria vita e delle mille sfumature che la caratterizzano. Allora, quel che dovrà accadere, accadrà.