VIDEO Che cosa dobbiamo imparare dall'episodio di Pescara?

I terribili fatti di Pescara ci interrogano su quello che sta accadendo ai giovani, e soprattutto sul tipo di educazione che noi adulti stiamo dando loro: un’educazione che non li tratta da esseri unici, ma da automi che devono solo ripetere degli standard.

Siamo tutti rimasti profondamente colpiti dai fatti di Pescara: due ragazzi di 16 anni che uccidono a coltellate un coetaneo senza motivo e con un’efferatezza sconcertante. Hanno lasciato senza parole l’indifferenza e il gelo che hanno mostrato dopo l’omicidio, andando tranquillamente in spiaggia a farsi selfie e a fare il bagno. Viene da chiedersi: perché i genitori non si sono accorti di niente? E soprattutto: cosa sta accadendo ai giovani?

Siamo in un’epoca in cui osserviamo un aumento preoccupante dei disturbi psichici nell’adolescenza, vediamo che l’ansia si manifesta ormai anche in tenera età. Cosa la fa aumentare? Il timore del giudizio, l’idea di non andare bene. E a volte, quando pensi di non andare bene, puoi chiuderti in un angolo e non uscire più di casa, come accade sempre più spesso; oppure puoi restare affascinato dall’idea dell’uomo forte, di quello che non ha paura di niente. Ma se non hai paura di niente può voler dire una cosa sola: che non senti più niente.

Quando si uccide un ragazzo e non si prova niente, e ci si sente forti, e si va fare il bagno, vuol dire che tutti noi abbiamo fallito nell’educare i ragazzi.

E del resto lo vediamo dappertutto: trattiamo da bambini anche gli adolescenti, anche i giovani. Temiamo che una sgridata dia loro un dolore insopportabile e così non la facciamo. Ci dimentichiamo che il dolore serve a crescere. Non si può crescere senza i dolori, né senza la tristezza. Se non accettiamo di soffrire nell’adolescenza, non avremo la forza per reagire più avanti, e ogni piccolo ostacolo sembrerà insormontabile.

Dobbiamo allora capire due cose. 

La prima è che essere genitori vuol dire esercitare un’autorità, dirigere. Non siamo tenuti a essere amici o fratelli dei nostri figli: siamo quelli che dirigono. Naturalmente con l’affetto e l’amore dei genitori. Ma occorre dire “no” quando serve. Senza quei “no”, non si può crescere, si resta infantili, bambini, fragili.

La seconda cosa da capire, forse la più importante, è che non si può crescere senza passioni e senza sogni.

La vita non è fatta solo di realtà, non conta solo andare bene a scuola o comportarsi bene. Contano i sogni.

Se i ragazzi non hanno passioni, se non cercano situazioni che li portino a immaginare, a fantasticare, a sognare, rischiano di spegnersi. E allora arrivano i disagi, che sono una reazione del mondo interno alla totale mancanza di passioni.

Ecco perché i ragazzi di Pescara ci sembrano degli automi, totalmente asserviti al pensiero dei social, al mostrarsi forti, alla malattia sociale della pazza gioia, all’idea che conti solo divertirsi e apparire. 

Allora chiediamoci: i nostri  ragazzi sognano? Attenzione: non vuol dire “sognare il lavoro che verrà”, vuol dire intendere il sogno come elemento essenziale della vita.

Cercate in loro le passioni: ognuno le possiede e sono sempre diverse, perché ogni ragazzo è diverso dall’altro. Non li omologate in un’idea di giovinezza standard, uguale per tutti, in cui bisogna fare tutti le stesse cose.

Cercate di vedere i loro talenti: tutti li possiedono. Date loro l’idea che sono unici al mondo, che in loro vive l’immagine di un mondo nuovo, e che solo loro possono crearlo. Se i giovani non mettono in discussione il nostro mondo, allora sì che dobbiamo preoccuparci!

Il modo non è dei vecchi: se così fosse ripeteremmo gli stessi standard all’infinito. No, le nuove generazioni vengono per cambiare il mondo. Solo questo li fa crescere sani.

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