E se diventassi come mia madre?
Tu | fiducia in se stessi

E se diventassi come mia madre?

Quando ci accorgiamo dell'esistenza di somiglianze "pesanti", è facile chiedersi se gli sforzi fatti per crescere autonomamente siano stati vani: non è così….

Un'amica lettrice ci scrive: "Un pomeriggio, riguardando un video girato in casa, mi vedo tra mia madre, mia zia, mia sorella, come fossi una perla della stessa collana. Stessi gesti, stesso modo di ridere, persino stessa voce! Chiedo a mio marito se mi trova così somigliante alle altre donne della famiglia e lui risponde che sì, siamo proprie gocce d’acqua e più invecchio più questa somiglianza si acuisce. Sono rimasta senza parole. I passi che ho fatto, le conquiste sudate, i no che pagando caro sono riuscita a dire non li vedo più. Dopo i cinquant’anni, con la scusa di prendermela più calma, mi sono impigrita e senza accorgermene ho cominciato a fare le stesse cose che fanno loro , addirittura pensare e parlare in modo molto simile. Quel video mi ha aperto gli occhi e da allora sono turbata e inquieta: mi sembra di esserci più, non esser più io. Cosa devo fare per ritrovarmi?”.

Per molti di noi, uomini e donne, smettere di fare (ad esempio l’impigrirsi di cui parla la nostra amica…) espone al pericolo di smettere di essere: lo confermano i  dati che vedono la massima insorgenza della depressione e di altre malattie nell’età della pensione. Essere diverse significa differenziarsi dalla famiglia, il luogo che però più di ogni altro, si fa contenitore delle inclinazioni, delle credenze, delle abitudini che ci vengono trasferite per osmosi fin dalla nascita. D’altro canto questo “luogo”è anche il teatro delle prime identificazioni…”al femminile”: la figlia che si specchia nella madre, la nipote nella zia, la sorella nella sorella. Ovvio che la somiglianza, quando è accentuata, possa distrarre dalle differenze che ci distinguono l’una dall’altra. Se poi viene anche amplificata in immagini di cui siamo spettatrici, impregnate dell’atmosfera tipica dell’unità familiare, l’effetto può risultare inquietante, al punto da far vacillare, la certezza di essersi conquistate un’esistenza come esseri distinti e autonomi.

Guardarsi è già cambiare
Questo momento della verità arriva spesso intorno ai cinquant’anni quando, quietata l’euforia del poter e saper fare, prende la voglia di fermarsi e godersi l’equilibrio raggiunto. Ma siccome la barca “che siamo” ferma non sta, è in questa fase che, senza accorgercene, finiamo col riallinearci all’onda lunga della famiglia, che forte dei suoi rituali, dei suoi come e dei suoi perché, trasportandoci passivamente, ci riporta a casa. Niente paura! Finché si è identici a una cosa è impossibile riconoscerla e la nostra amica il pericolo l’hai visto molto bene e per tempo. Il turbamento che prova al ricordo di quell’immagine è già un atto di individuazione e di desiderio d’autonomia. Proprio quell’inquietudine che quella visione fa affiorare dentro le permetterà di increspare l’acqua stagnante della sua vita e di seguire ancora il vento quando si alzerà… Forse il coraggio di individuarci, di essere diverse continuamente e non solo in un momento della vita, significa sapersi separare soprattutto da ciò che in parte, ma solo in parte, ci somiglia e proprio per questo ci confonde.. Basta poco per rientrare in sé : chi si osserva ha già cominciato a farlo.

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