Ogni abbandono provoca un dolore che col tempo sfuma: non riuscire a dimenticare un amore è solo un pensiero ostinato che non vuole arrendersi
Federica, un'amica lettrice di Riza Psicosomatica, ci scrive:
“Lui mi ha lasciata due anni fa ma io sto male come se fosse accaduto ieri... Come è possibile? Forse stavolta la ferita è davvero molto profonda, non credevo di poter soffrire così, mi sento frastornata, continuo a chiedermi: perché, perché, perché? Le amiche hanno paura che vada in depressione e mi spronano ad uscire con loro... Ma io mi sto sempre più allontanando da tutto e tutti, ho bisogno di fare il vuoto, meditare un po’ su di me, ritrovarmi... Come faccio a superare questo dolore? C’è qualcosa che posso fare?».
Nella sua mail Federica parla di una ferita profonda che non si rimargina. In realtà non ci sono ferite più profonde o meno profonde, è un’invenzione della mente. Qualsiasi cosa sia accaduta il dolore non dura mai troppo a lungo. Dura quanto deve durare. Se si prolunga dipende solo dal nostro atteggiamento mentale: non abbiamo accettato che le cose siano andate così, non siamo stati disponibili a cedere all'abbandono, a farci travolgere dal dolore. Spesso addirittura, ci rifiutiamo di ammettere che era inevitabile: cancelliamo il ricordo di tutte le cose che non funzionavano nel rapporto e costruiamo un altare. In questi casi facciamo del dolore una ragione di vita. Esistono due tipi di dolore: quello di chi, quando tutto “crolla”, si sente annientato, finito e si accascia; questo è il dolore buono, sano, che ha in sé una sorta di “salvezza”. L’altro è quello di chi non accetta ciò che è successo, ci pensa e ci ripensa, comincia a lamentarsi, cerca di capire, e così facendo, lo fa perdurare per tutta la vita.
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Detto tutto questo, Federica fa bene a non ascoltare le amiche. Quando il dolore arriva è meglio, per un po’, permettergli di prendere posto nella nostra coscienza, di occuparla totalmente. Solo così può compiere il suo lavoro di purificazione rinnovandoci completamente e diventando una buona occasione di rinascita. Il vuoto aiuta a ritrovare equilibrio. Ma attenzione: non serve rimuginare sugli errori passati, sui rimpianti e sui rimorsi. Occuparsi di sé significa niente di più che osservarsi mentre si vive. Vivi, fai le cose di tutti i giorni, senti le emozioni, e intanto osservati, senza dare giudizi. Occorre diventare testimoni di se stessi nei piccoli gesti: quando si mangia, si lavora, si cammina... Non esistono azioni stupide o banali. Anzi, sai qual è uno dei più importanti antidoti al dolore? Fare, creare.
Come i bambini quando modellano la creta, i muratori coi mattoni, le donne di una volta con il ricamo: quando siamo immersi in un lavoro manuale, anche il più modesto, il cervello esce dal labirinto dei rimpanti, mette in moto energie rigeneratrici e si rinnova. Guardarsi quietamente in ogni momento della giornata: questo riporterà Federica al nucleo profondo di se stessa, e questo è ben più terapeutico di meditare su ciò che è andato storto. L’anima non è fatta per autodistruggersi pensando e ripensando, ma per realizzare cose. Occorre ricordalo sempre invece di perdere tempo a rimuginare sulla vita e sugli amori finiti: le risposte arrivano da sole quanto più siamo concentrati nelle imprese concrete.