Lasciamo che vivano l'infanzia
Vita in famiglia

Lasciamo che vivano l'infanzia

Tutti vogliono il meglio per i propri figli, ma a volte dietro questo sentimento si nascondono desideri di riscatto personale dei genitori, assai dannosi

A volte il narcisismo degli adulti si maschera tanto bene da sfuggire al controllo razionale manifestandosi là dove meno penseremmo di trovarlo. È quello che accade ad esempio quando proiettiamo sui nostri figli, senza accorgercene, la nostra “smania” segreta di affermazione e di competizione. Ci consideriamo attenti e sensibili ma poi con tenacia sottile puntiamo su di loro come fossero “estensioni di noi stessi”. E loro, fin da piccoli, sentono di essere investiti di questo compito, che inquina il loro modo di percepirsi e di stare nella realtà.

La prestazione prima di tutto

Questo schema prestazionale è una delle cause principali delle nevrosi “adulte” e certamente nessun genitore in coscienza vorrebbe che i figli lo vivessero. Tuttavia in molti casi lo applichiamo ugualmente, al di là di ogni nostro intento cosciente. Scegliamo ovviamente per loro la scuola migliore, gli insegnanti più consigliati, lo sport giusto, e mentre facciamo tutto questo per il loro bene, intimamente sentiamo che fa bene anche a noi, perché è come se fosse una parte di noi a farlo. Altre volte siamo più liberali: gli facciamo scegliere quello che vogliono, ma poi applichiamo la richiesta di “essere bravi”, “di far vedere chi sono” (cioè chi siamo…), “di spaccare il mondo”. Perché crescano forti e fiduciosi, diciamo a noi stessi e agli altri; purtroppo è vero il contrario.

L’effetto paradosso: bassa autostima

Il primo aspetto ad andarci di mezzo è l’autostima: il bambino sente che, in tutto quel che fa (e quindi in quel che è), deve essere “di più”. Più di cosa? Non si sa bene, ma è certo che la sua espressione di sé, così com’è “al naturale”, non basta. Deve “migliorarsi”, “dimostrare”, “sfondare”. Il suo agire nella realtà cioè non è libero, ma dipende da una richiesta. Non può lasciarsi essere, ma “deve essere”. E in breve tempo ciò che acquisisce davvero è solo la sensazione di non andar bene così com’è.

Migliorarsi non è tutto

Il secondo aspetto danneggiato è la capacità di occuparsi di sé: la continua richiesta di seguire obiettivi che sono i nostri e non i suoi, gli impedisce di capire quali sono i propri desideri, bisogni e obiettivi: Cosa fare, se ci si accorge di comportarsi almeno un po’ in questo modo? Cominciare ad occuparsi davvero di sé, così che il mondo dei nostri figli sia libero e sereno. Teniamo presente che migliorarsi come genitori significa diventare persone più sane e più vere. E quando si è veri non c’è bisogno di competere. Si può giocare a competere, fare gare per divertirsi, ma senza smanie e, soprattutto, senza influenzare la vita dei figli.

Le cose dal fare

  • Non potenziare ciò che ha già
    Nel bambino lo spirito competitivo è già presente per natura ed è funzionale allo sviluppo psicologico. Lasciamoglielo perciò vivere per come gli viene spontaneo, con la libertà di vincere o di perdere. Non potenziamo con le nostre aspettative ciò che ha già una sua forza, perché lo snaturiamo e disturbiamo la costruzione della sua personalità.
     
  • Rispettare la sua identità
    Teniamo sempre presente che nostro figlio non è un’estensione di noi, ma un’altra persona. Se abbiamo bisogno di gratifiche, di riscatti o di rivalse, cerchiamole nella nostra vita, non nella sua. I suoi successi o sconfitte sono suoi, non nostri. E comunque non diamogli un esempio troppo competitivo: o ci imiterà o si sentirà inadeguato.
     
  • Incoraggiare con dolcezza e comprensione
    Molti pensano che spingere con intransigenza un figlio a primeggiare lo renda forte e gli aumenti l’autostima. Ma non è così. Anzi, gli scava dentro un senso di inadeguatezza. Molto meglio è stimolarlo a fare le cose bene e con passione, e incoraggiarlo, senza mostrarsi delusi, anche di fronte a un cattivo risultato, cercando di capire insieme gli errori.
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