Le regole per incoraggiarli a scuola

Le regole per incoraggiarli a scuola

Impariamo gli atteggiamenti giusti per infondere ai nostri figli una buona sicurezza di sé, evitando di creare false aspettative grandiose né frustrazione

“Chiacchierando con un compagno di classe, mia figlia ha scoperto che quando il ragazzino torna a casa con un brutto voto la madre gli prepara una torta per consolarlo e incoraggiarlo, e me l’ha subito riferito (con un tono un po’ polemico). Sul momento le ho risposto che secondo me quella mamma sbaglia, perché rischia che il figlio lo prenda come un premio e continui ad andar male a scuola - magari per avere una torta in più – male i mi ha risposto che invece il suo compagno è uno dei primi della classe. Non so cosa pensare: sbaglio io a credere che incoraggiare i bambini significhi stimolarli a correggere i propri errori o sbaglia la mamma consolatrice?”. La lettera della nostra lettrice mette bene in evidenza in quanti modi diversi il termine “incoraggiare” venga interpretato e come spesso sia frainteso. Letteralmente il termine significa “infondere coraggio”, nel senso di rincuorare qualcuno che si trova in un momento di scoraggiamento, ma molto spesso viene usato come sinonimo di “stimolare”. Ai capi estremi di questo approccio educativo troviamo due modelli teorici opposti che, semplificando, possiamo riassumere come “madre tigre” e “mamma chioccia”.

La madre tigre

Nella prima definizione ricadono i genitori convinti che i bambini vadano continuamente stimolati a fare di più e meglio. Un modello prestazionale che impone ai figli una rigida disciplina a base di obblighi, minacce e punizioni, per costringerli a “ripagare i genitori” con il successo scolastico e sociale - il tutto naturalmente senza tenere in considerazione i loro gusti.

La mamma chioccia

Nella seconda definizione sono compresi invece quelli che trattano i figli come fragili gingilli da proteggere a ogni costo contro ogni minima frustrazione, o come piccoli sultani cui non si può negare nulla, da appoggiare sempre.

Eliminiamo (entrambi) i modelli

Nessuno dei due ovviamente ha senso: nel primo caso ciò che si ottiene è, nella migliore delle ipotesi, un robottino caricato a molla, efficiente dal punto di vista prestazionale ma menomato negli aspetti emotivi. Nel secondo caso si coltivano figli narcisisticamente fragili, incapaci di affrontare qualunque difficoltà. La soluzione sta nel coltivare la via di mezzo, adottando un modello flessibile che tenga conto tanto delle realtà da affrontare che della natura del bambino e che lo aiuti, nei momenti di difficoltà, a individuare gli ostacoli che lo bloccano e a superarli da solo. In questo senso consolare il bambino che ha subito la “sconfitta” di un brutto voto con una torta non è sbagliato quando è un modo di comunicargli che la mamma capisce la sua delusione e conserva la fiducia nelle sue capacità.

Regole sì, ma senza esagerare

Se la mancanza di limiti e difficoltà produce insicurezza e senso di abbandono, anche l’eccesso è un problema. troppi diktat generano ansia perché rendono quasi impossibile muoversi senza incorrere in qualche errore, mentre troppi ostacoli producono rabbia e ribellione o un senso di scoraggiamento che porta rapidamente il bambino ad arrendersi.

Troppi elogi fanno male

Dire continuamente al figlio che è un campione è inutile e dannoso. le lodi fanno bene se non sono esagerate e se sono contestualizzate, altrimenti suonano come false e creano aspettative. D’altra parte è altrettanto sbagliato dire a un figlio che è un incapace. Non lo stimola, ma lo deprime.

Le punizioni servono soprattutto coi piccoli

Le punizioni possono avere un senso quando i bambini sono piccoli, alle elementari e alle medie. Dopo servono a poco o niente. Funziona di più il dialogo, l’arte del compromesso, non certo il ricatto o il sistema premio-punizione.

Digli sempre di sì li rende fragili

Fare gli amiconi del figlio, trattandolo alla pari come fosse adulto, giustificando qualunque errore, lasciandolo libero di fare qualunque cosa non è una buona idea. questo stile (dis)educativo priva i ragazzi dell’appoggio affettivo e rassicurante di cui hanno bisogno per sentirsi guidati e amati.

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