Mangia di meno, fa bene anche al cervello
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Mangia di meno, fa bene anche al cervello

Lo dice una ricerca che ha trovato una correlazione fra l’eccessiva alimentazione e il deterioramento cognitivo del cervello: motivo in più per non stramangiare

Una recente revisione di alcuni dati clinici ha sorpreso gli stessi ricercatori: dalle statistiche confrontate è emerso che negli anziani il “deterioramento cognitivo lieve”, che può rappresentare un importante fattore di rischio per la demenza senile e l’Alzheimer, risulterebbe doppio tra quanti mangiano di più. A condurre questa ricerca per alcuni “sacrilega” è stato un luminare della materia, il professor Ronald Petersen, direttore del Centro di ricerca sull’Alzheimer della Mayo Clinic, Stati Uniti, che ha studiato 1.200 persone tra i 70 e gli 89 anni senza segni di demenza: tra di loro, ha individuato 163 uomini e donne che presentavano un iniziale deficit cognitivo lieve e la cui alimentazione era nettamente ipercalorica rispetto ai restanti partecipanti. Altri ricercatori americani sostengono addirittura che uno dei principali fattori protettivi per l’invecchiamento cerebrale sarebbe la pratica del digiuno due volte alla settimana, ma i dati sono ancora sperimentali e pertanto necessitano di ulteriori approfondimenti.

Anche il cervello va messo a dieta?

Ma perché le restrizioni alimentari avrebbero tutti questi effetti benefici sul cervello umano? Secondo il dott. Mattson, direttore del National Institute of Aging di Baltimora, la mancanza di cibo è in grado di creare una piccola quota di stress che stimolerebbe i neuroni a svilupparsi, come succede alle cellule muscolari sotto lo stimolo dell’esercizio fisico costante. Questa ipotesi affonda le sue radici nel campo evoluzionistico: quando le risorse alimentari scarseggiavano i nostri antenati dovevano “scervellarsi” per cercare del cibo. Quelli dalla mente più lucida, che erano in grado di ricordare dove e come si era trovato cibo altre volte e avevano memorizzato come evitare i predatori, trovavano da mangiare e, dunque, erano più in grado di sopravvivere degli altri. Secondo questa ipotesi si sarebbe creato ed evoluto un meccanismo che lega periodi di fame ad una crescita neuronale, intesa soprattutto come migliore capacità di usare le proprie risorse cognitive.

Digiuno ed evoluzione: la scienza è divisa

Non tutti condividono questo punto di vista: il professor Marco Trabucchi, docente di neuropsicofarmacologia all’Università di Roma Tor Vergata e Presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria dissente dai due ricercatori americani. A suo avviso il digiuno determinerebbe un vero e proprio “affaticamento funzionale” del cervello e i risultati di vari studi hanno evidenziato che la pratica prolungata di specifiche attività stressanti può portare a uno stato di progressivo “rallentamento” di particolari regioni cerebrali. Per questo, secondo Trabucchi, è più ragionevole raccomandare diete leggere e non certo il digiuno, una scelta troppo drastica. In ogni caso, la cosa più importante è sostenere di uno stile di vita equilibrato in cui ci si alimenta con cibi sani, in quantità giuste, in modo regolare senza farsi ossessionare dai limiti o dal controllo. Per la maggior parte delle persone, oggi, questo significa…mangiare meno!

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